Primo maggio,
festa del lavoro e, quindi, dei lavoratori. Per festeggiarla degnamente
tutti dovremmo fare qualcosa: al di là del decidersi a ottemperare alle
leggi sulla sicurezza nei cantieri evitando, così, quella strage di
lavoratori che funesta ogni giornata in questo Paese, gli imprenditori
non dovrebbero costringere donne e uomini a lavorare anche in questa
giornata; noi non dovremmo entrare nei negozi che restano aperti; il PD
dovrebbe decidersi a scaricare quel suo “semplice senatore” che, con la
solita faccia tosta, continua a vantarsi del «milione di posti di lavoro
creati dal Jobs Act» proprio mentre i mezzi di informazione raccontano
le storie di molti che vengono inconsapevolmente inseriti in questo
milione di teorici non disoccupati perché hanno lavorato un paio di
giorni al mese, o, addirittura, soltanto per una notte una tantum.
Ma la prima domanda che riguarda
quel “semplice senatore”, che è anche ex presidente del Consiglio, che
afferma anche di non essere più segretario del PD e che risponde al nome
di Matteo Renzi, è a che titolo e da chi gli è stato regalato domenica
un pulpito seguitissimo come “Che tempo che fa” dal quale ha dettato le
regole con le quali il PD dovrebbe rapportarsi, o, meglio, non
rapportarsi, con i 5stelle. Non intendo entrare nel merito di questa
questione, ma, a prescindere da cosa se ne pensi, soltanto rilevare che
già sarebbe intollerabile – e non soltanto per Martina – il fatto che il
teorico ex segretario, approfittando della visibilità donatagli, parli
da segretario in carica, ma ancor più inaccettabile è che approfitti
della situazione per tentare di riproporre i cambiamenti della
Costituzione già bocciati dal referendum del 4 dicembre 2016.
L'ineffabile pseudo–ex segretario
pretende, come sempre, di impartire lezioni di comportamento politico e
accusa tutti – tranne ovviamente se stesso – di prendere in giro gli
elettori del 4 marzo 2018, visto che i vincitori non riescono a fare (o
non vogliono) il nuovo governo. Ma non gli passa neppure lontanamente
per la testa che la sua proposta di far rientrare dalla finestra la
riforma costituzionale e quella elettorale è una colossale presa in giro
per quel 60 per cento di italiani che poco più di un anno fa ha già
bocciato senza incertezze le sue derive antidemocratiche.
A prima vista potrebbe sembrare che
tutto questo c'entri ben poco con i risultati delle regionali del Friuli
Venezia Giulia e con le comunali di Udine, ma così non è. Intanto sono
proprio queste prese in giro, queste scelte di voler fare tutto quello
che passa nella propria testa senza mai curarsi del fatto se passa, o
meno, anche nella testa degli altri cittadini, che causano quel calo di
affluenza alle urne che per la prima volta ha fatto rimanere a casa più
della metà degli aventi diritto al voto di questa regione. Poi è stata
la perdita di identità della sinistra, indotta da un PD renziano che,
soprattutto in fatto di diritti sociali, ha scelto di scimmiottare le
idee della destra (che, invece, la sua identità l’ha anzi riportata a
livelli temibili) a togliere speranze e motivazioni a molti di coloro
che votavano sempre pensando proprio ai diritti sociali, oltre che a
quelli individuali. E non è stato indifferente neppure il fatto che a
guidare per cinque anni il Friuli Venezia Giulia sia stata Debora
Serracchiani, convintissima seguace di colui che dice di sé di essere
«recordman del mondo in fatto di dimissioni», ma che è di certo anche
l’ex più presente della storia.
Ma tutto questo non basta per
spiegare la delusione per il risultato di SinistrAperta. Ci si può
appigliare, è vero, a problemi oggettivi come una nascita troppo
recente, una carenza economica e organizzativa, una litigiosità troppo
alta tra componenti ancora troppo gelose delle proprie particolarità,
alcune smanie di protagonismo che hanno illuminato più alcuni nomi che i
principi politici della lista; ma questo non può bastare.
Il vero problema è costituito dal
fatto che se si vuole riprendere a essere attrattivi, bisogna tornare ad
apparire convinti e sinceri; occorre fare attente analisi e
autocritiche, e, se si vuole che l’Associazione SinistrAperta non muoia
prima di nascere, bisogna riparlare di ideali di sinistra, ma anche
essere aperti, sia per chi è fuori e sinceramente vuole entrare, sia per
chi è già dentro e decide di uscire un po’ se, con il confronto sulle
cose che ci dividono e non su quelle che ci uniscono, si rende conto che
il luogo più giusto per far incontrare, senza stravolgerli, i nostri
ideali sarà un po’ fuori dal contenitore che in questo momento siamo
abituati a immaginare.
In tutto anche in attesa che il PD –
se non è già troppo tardi – possa liberarsi davvero del suo pseudo–ex
segretario per tornare a essere quel partito di massa di cui il
centrosinistra ha bisogno per fare da centro di gravità in un sistema di
alleanza che non siano soltanto elettorali, ma che restino
costantemente strette per il progresso della nostra società.
Sembra difficilissimo, ma in realtà
non è più difficile del camminare, quando continuiamo a perdere
l’equilibrio e cadere, passo dopo passo, ma sempre recuperando
immediatamente l’equilibrio per poi rischiare di cadere ancora. Passo
dopo passo. Ma senza mai rovinare a terra.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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