domenica 14 gennaio 2018

Tra slogan e provocazioni

Quello che è successo in Lombardia e nel Lazio nei rapporti tra Liberi e Uguali e il PD non è facile da incasellare con esattezza nelle categorie canoniche della politica italiana, ma può aiutare a tentar di comprendere un po’ meglio – sempre lasciando a ognuno, naturalmente, di trarne la morale che ritiene – cosa stia accadendo tra le anime di due partiti, uno dei quali pretende di essere collocato tra il centro e la sinistra mentre l’altro non lo considera tale e, anzi, lo vede collocato al centro, se non in parte nel centrodestra, e comunque pronto a continuare a governare, se del caso, con fette significative di personaggi politici che con la sinistra non hanno alcun punto di contatto, se non un’antipatia spiccata e liberamente ostentata. E tutto questo, al di là di quanto accadrà il 4 marzo, sarà molto importante anche in prospettiva locale, pensando alle regionali e alle comunali udinesi nelle quali le peculiarità territoriali avranno sicuramente il loro peso, ma non potranno certamente cancellare le realtà squisitamente politiche a livello nazionale.
Per prima cosa va detto che, viste da lontano, le decisioni divergenti da parte di LeU (in Lombardia un no secco a Gori, nel Lazio un sì, pur condizionato, a Zingaretti) sono state prese sia perché le due assemblee di Liberi e Uguali possono essere composte in maniera sensibilmente diversa, sia in quanto le prospettive di dialogo con Gori e Zingaretti possono essere state valutate in maniera diversa. Ma anche gli stessi candidati già presentati dal PD possono essere stati sentiti in modo disuguale. Mi spiego: quando qualcuno ha già deciso il candidato presidente, altre candidature di spicco e parte fondamentale del programma è ben difficile accettare – credendoci – un invito a discutere insieme «su un piano di parità» per arrivare a un’alleanza. È ragionevole pensare, per bene che vada, a qualche assessorato elargito per ingolosire alcuni maggiorenti, ma molto meno ragionevole è credere che questa offerta possa essere accettata da un elettorato deluso da anni di politica a lui aliena da parte del PD e che difficilmente riuscirebbe a capire perché allearsi con coloro dai quali soltanto pochi mesi fa ci si è traumaticamente separati.

La frase ricorrente è: «La spaccatura nel centrosinistra finirà per favorire la destra». Ma il fatto è che, se sulla seconda parte della frase nessuno ha dei dubbi perché la destra, o i grillini saranno sicuramente favoriti, è sulla prima parte che l’assunto dimostra la propria debolezza visto che chi dal PD se ne è andato lo ha fatto, e con evidente sofferenza, proprio in quanto non ritiene più che il PD sia un partito di centrosinistra. E che, quindi, non si tratti di spaccatura tra parenti, ma di normale separatezza tra lontani.

E a chiarificare la situazione aiutano anche le frasi improvvide pronunciate a botta calda dai protagonisti lombardi e che sono soltanto vuoti slogan, o inutili provocazioni.

Altro non è che uno slogan vuoto di contenuti, infatti, la frase con cui Giorgio Gori ha detto che «i dirigenti di LeU sono evidentemente offuscati dall’odio per il PD». Ricordo ancora, da persona mai iscritta a nessun partito (ve la do come constatazione, non come presunto merito), che tutti coloro che sono usciti dal PD di Renzi lo hanno fatto con dolore e rimpianto per il partito nel quale avevano militato per tanti anni e che avrebbe dovuto essere l’erede di altri partiti ormai ingoiati dalla storia, ma dei quali in tanti avevano avuto la tessera. Costoro hanno lo stesso spirito ferito di un innamorato tradito. Quindi non di odio per il PD si tratta, ma di condanna senza appello per Renzi che quel partito ha conquistato e poi ha stravolto, cambiandone profondamente essenza e obbiettivi; e anche per coloro che ossequiosamente hanno appoggiato tutte le sue scelte, in un diffuso silenzio che è stato tanto profondo che se oggi qualche esponente dem cerca di recuperare un po’ di credibilità nei confronti di chi sta più a sinistra, sventola come una medaglia il fatto di aver detto una volta che non era stato d’accordo con le decisioni del segretario, salvo poi votare comunque a favore «per disciplina di partito». Ed è ben difficile essere d’accordo con chi dice: «Voteresti per il PD e non per Renzi». Non è così, perché il PD oggi è ancora soltanto Renzi e appoggiare lui è come appoggiare le sue politiche che hanno realizzato molte cose che Berlusconi avrebbe voluto fare, ma senza riuscirci e che a tutte le persone orientate a sinistra sono apparse decisamente indigeribili.

Altro non è che una provocazione, invece, la frase di Onorio Rosati, il candidato di LeU in Lombardia: «Se vogliono il voto utile vengano loro da noi». A prima vista può anche apparire brillante e divertente, ma, in realtà, è inutile perché non fa fare un solo passo in avanti sulla strada che, a mio modo di vedere, se davvero ci si tiene agli ideali di sinistra, dovrebbe essere l’unica da seguire nella speranza di un futuro migliore: quella di usare vecchi, ma non consunti, ideali per costruire nuove basi dalle quali partire per ricostruire un nuovo centrosinistra capace di impegnarsi per realizzare istanze sociali e non soltanto per occupare seggi e posti di potere.


Ma tutto questo - lo ripeto - si può realizzare soltanto con un confronto vero perché nessuno può credere alla sincerità di un confronto per cercare una mediazione quando praticamente tutto è già deciso, o perché si è partiti per primi, o sulla base di risultati elettorali precedenti, o sulla scorta di sondaggi che poi troppo spesso sono anche clamorosamente sbagliati. Probabilmente, per un confronto serio, sarà necessario attendere che il dialogo non sia inquinato dalle sirene di posti da conquistare e che finiscono per distrarre da un discorso concreto sugli ideali e sugli obbiettivi. Che sono le uniche cose che nella politica propriamente detta dovrebbero importare.


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