giovedì 22 dicembre 2016

Le varie inadeguatezze

Sono totalmente condivisibili le insistenti richieste di dimissioni indirizzate a Poletti, sedicente ministro del Lavoro, non soltanto da le opposizioni, ma anche da due parti interne al PD: dai giovani di molte regioni e dalla sinistra del partito che, almeno per una volta, sembra essere concorde. Quello che meno convince, invece, sono le motivazioni con le quali queste dimissioni sono chieste. 5stelle, Lega e Sinistra assortita le chiedono per “inadeguatezza” del ministro; i giovani PD perché si sono sentiti feriti dalle sue parole; la sinistra interna al PD, più pragmatica degli altri, non specifica motivazioni che ai più, visto quello che Poletti ha detto e fatto, appaiono del tutto superflue, ma chiedono un pur impossibile scambio: lasciamo il ministro al suo posto se, in cambio, il governo cancella i voucher.

Obbiettivamente il termine “inadeguatezza” sembra quello che meglio si attaglia alla situazione, ma bisognerebbe specificare che in questo caso si va ben oltre l’inadeguatezza politica per entrare nel campo dell’inadeguatezza personale. E, infatti nessuno si sogna di accettare le parole di molti notabili renziani tra i quali, quantomeno per ragioni geografiche, oltre che per l’importanza degli incarichi da loro rivestiti, merita ricordare le quasi concordanti prese di posizione, per quanto evidentemente dovute e sofferte, di Serracchiani e Rosato: «Il ministro Poletti si è scusato per una frase infelice. Il caso si esaurisce qui».

In realtà, però, sanno benissimo anche loro che ben difficilmente il caso potrà esaurirsi qui e non soltanto per il finanziamento pubblico di mezzo milione di euro che, in un periodo di vacche magrissime per l’editoria, il governo ha concesso al periodico diretto dal figlio del ministro: di quello, eventualmente, si occuperà la magistratura.

Il viluppo politico dal quale ben difficilmente Poletti potrà districarsi consiste nel fatto che il sedicente ministro del Lavoro ha espresso, con parole sue, concetti che già erano stati espressi da altri esponenti del governo appena passato e di quello attuale, ammesso che siano davvero due cose diverse. E, quindi, per evitare di affondare, con ogni probabilità questo governo sarà costretto a gettare a mare il proprio improvvido ministro ormai rivelatosi anche ai più ciechi come una pericolosa zavorra.

Pochi giorni fa aveva espresso pubblicamente il concetto che le elezioni anticipate dovevano essere fissate al più presto perché soltanto così si sarebbe potuto disinnescare il referendum richiesto dalla Cgil su tre aspetti del Jobs Act che con ogni probabilità si trasformerebbe in un’ennesima figuraccia (ricordiamoci anche la legge Madia) per la politica renziana e che svuoterebbe di senso quella legge che si era vantata di essere sul lavoro, ma che in realtà mira a regolamentare soltanto la precarietà. Ebbene: il concetto del tentar di neutralizzare il referendum con il ricorso alle urne, poi messo in chiaro da Poletti, era già abbondantemente circolato a palazzo Chigi in precedenza, tanto da trovare posto in numerosi articoli politici su varie testate italiane e internazionali, come pura ipotesi politica. Poletti, insomma, come di solito fa, si è limitato a ufficializzare cose istituzionalmente sconvenienti che, invece dovevano restare segrete e che lui ha sentito soltanto perché non poteva non essere dove quelle cose venivano dette.

Stessa cornice anche per la famigerata frase pronunciata a proposito della cosiddetta “fuga dei cervelli”: «Conosco gente – ha detto Poletti – che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Altra frase totalmente priva di diplomazia, però anche difficilmente incasellabile a sinistra in quanto dimentica che la fuga all’estero non riguarda soltanto “i cervelli”, ma anche tantissimi cittadini - magari non baciati dal genio, ma comunque dotati di cervello - che hanno dovuto emigrare con il solo obbiettivo di sopravvivere economicamente. Una frase, comunque, che contiene un concetto altrui che Poletti si è limitato a infiocchettare da par suo. Un paio di mesi fa, infatti, era stato l’allora primo ministro, Matteo Renzi, a puntare il dito contro la «retorica della fuga dei cervelli», durante un intervento in Toscana, poco prima di partire per la cena negli Stati Uniti con il presidente Barack Obama, specificando anche che «Bisogna aprirsi alla competizione internazionale; trovare il modo di essere attrattivi». Sollecitazione alla quale aveva risposto subito il sottosegretario Scalfarotto con un’altra alzata d’ingegno nella quale invitava le aziende internazionali a sfruttare il fatto che gli ingegneri italiani costano meno dei loro colleghi.

Secondo me l’inadeguatezza di cui si parla esiste, ma non riguarda soltanto il sedicente ministro Poletti, ma un’intera classe politica sedicente di centrosinistra.

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