martedì 2 giugno 2015

Un percorso difficile e lungo

Questa riflessione voleva ragionare sul trionfalismo di Renzi («Cinque regioni a due è un ottimo risultato»), dei due vicesegretari del PD che hanno ripetuto lo stesso concetto e di alcuni dei fedelissimi che, però, per la maggior parte, questa volta hanno indicativamente preferito tacere. Voleva riflettere sui dati (pur con qualche dubbio legato all’assimilazione, o meno, di alcune liste) portati da Stefano Fassina: «Abbiamo perso in valore assoluto 600 mila voti rispetto alle Regionali del 2010 e oltre la metà dei voti rispetto al dato del 2014». Intendeva mettere in luce alcune situazioni particolari, come quella della Liguria in cui una fetta del PD ha preferito votare Pastorino piuttosto che la Paita che aveva vinto le primarie con il determinante aiuto di Scajola e di parte del centrodestra; come quella dell’Umbria, regione da sempre rossa, dove la vittoria è arrivata soltanto sul filo di lana; come quella del Veneto in cui Alessandra Moretti non è riuscita a raggiungere nemmeno la metà dei voti di Zaia; come quella della Campania dove del 41,2 per cento dei votanti che hanno fatto vincere l’impresentabile De Luca soltanto il 19,6 appartiene al Partito Democratico propriamente detto.
Voleva ragionare su queste cose, ma la realtà dei numeri impone di pensare a un aspetto decisamente più grave e, cioè al dilagare della Lega di Salvini che, in cifra assoluta, ha guadagnato oltre 200 mila voti con exploit preoccupanti non soltanto in Veneto, ma anche in Liguria e Toscana e buoni risultati pure in Umbria e nelle Marche. Cosa decisamente più preoccupante perché significa un aumento di aliofobia, razzismo, antieuropeismo ed egoistico campanilismo, perché corrisponde a un dilagare di quel virus che rischia di corrodere lo spirito su cui è stata fondata quella Repubblica di cui proprio oggi si festeggia il sessantanovesimo compleanno e di stravolgere quella Costituzione grazie alla quale è cresciuta.

Credo che il commento più lucido che ho sentito sulle elezioni di domenica appartenga a Sergio Cofferati che ha detto che il percorso che ci aspetta per ritrovare i valori fondanti della nostra democrazia sarà difficile e lungo, che occorrerà avere pazienza, ma che questo percorso sarà inevitabile; che non ci sono scorciatoie per riconquistare tutto quello che in questi ultimi decenni abbiamo perduto.

Infatti, fermarsi a considerare il numero delle vittorie nelle regioni è superficiale e dimostra che interessa soltanto la conquista del potere e non il convincere la gente della bontà dei propri progetti; trascurare il numero dei voti ottenuti per rifugiarsi esclusivamente nella valutazione delle percentuali indica un evidente disprezzo per il valore della democrazia, oltre che una colpevole sottovalutazione dei propri errori; affermare – come ha fatto Renzi in occasione del flop di affluenza alle regionali emiliane – che la disaffezione dei cittadini alle urne non è importante è una rinuncia alla dignità della politica.

L’unica strada per uscire da questo cul de sac nel quale ci siamo cacciati è tornare a fare politica, appunto, nel senso vero del termine, cioè cercare il bene della polis; è riprendere a esprimere le proprie idee chiaramente, senza annacquarle, o addirittura stravolgerle, in continuazione, allo scopo di lucrare qualche vantaggio elettorale; è tornare a creare e a diffondere soprattutto tra i giovani quella cultura politica e soprattutto sociale distrutta da anni di devastazioni comunicative; è riprendere a considerare i propri valori e stabilire le vicinanze e le lontananze dagli altri soltanto in base alle vicinanze e alle lontananze con i loro valori. È far capire alla gente questo modo di essere senza cercare continuamente di addossare agli altri le colpe delle proprie incapacità e dei propri insuccessi perché, o per opere, o per omissioni, di questa situazione – non possiamo negarlo – siamo colpevoli tutti.

Buona festa della Repubblica. Ma soltanto se ci tenete davvero.

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