sabato 23 dicembre 2017

I regali di Natale

Più d’uno in questi ultimi anni mi ha accusato di avercela con Renzi. E a tutti ho risposto che avevano certamente ragione, ma che non si è mai trattato di antipatia preconcetta, bensì di avversità ragionata. E questa volta, per dimostrarlo, preferisco lasciare la parola ad altri. Anche perché sono altri quelli che stanno rendendo ben poco gradito il Natale di Renzi con regali davanti ai quali il carbone che la Befana porta ai cattivi sembra quasi una specie di premio.
 
Cominciamo con i sondaggi di Ixé che danno per la prima volta il PD sotto il 23 per cento con un crollo che da ottobre in poi sembra irreversibile e che in due mesi ha fatto perdere circa 5 punti al partito di Renzi. È evidente, quindi, che non di centinaia di migliaia di casi di antipatia personale si tratta, bensì del rifiuto diffuso di una politica inaccettabile. Che taluni abbiano fiutato da subito l’andazzo e che altri ci siano arrivati soltanto in questi ultimi mesi non cambia la sostanza delle cose: la politica del PD di Renzi non è stata una politica di centrosinistra, o, per essere più semplici, non è stata la politica del PD che avrebbe dovuto essere nato dall’Ulivo di Prodi; non è stata la politica che avrebbero voluto moltissimi di quegli elettori che avevano dato il proprio voto al programma di Bersani e che si sono visti realizzare in buona parte, invece, quello che è stato il programma di Renzi, troppo spesso molto simile a quello che era stato il programma di Berlusconi.

E che non di antipatia personale si tratti è confermato da almeno altri due casi, entrambi riportati da HuffPost. Il primo riguarda Franco Monaco, deputato PD, il quale, in una sua lettera, afferma che «nell’ultimo giorno di lavori per la Camera posso lasciare il PD a tutti gli effetti. In verità, da gran tempo mi considero fuori dal partito, cui non ho rinnovato l’iscrizione, e tuttavia non ho lasciato il gruppo parlamentare PD. Ci sono stato al modo di indipendente sempre più estraneo. Ripeto: non ho lasciato il gruppo PD, ma sento il dovere di mettere a verbale, prima dell’imminente scioglimento delle Camere, il senso della mia estraneità a esso. Molte le ragioni. La principale è che questo PD è cosa affatto diversa dal PD pensato nel solco dell’Ulivo, partito di centrosinistra nitidamente alternativo al centrodestra. Diverso per profilo, posizionamento, politiche».

E poi elenca una serie di cose inaccettabili: «un uso improprio e strumentale delle istituzioni», «un cedimento a umori anti-istituzionali che già avevano connotato la campagna referendaria e che vanno a sommarsi ad atteggiamenti corrivi con la facile demagogia su questioni cruciali come l’Europa e il fisco. Associati altresì allo sport nazionale dei “fake program” nella spesa pubblica. Immemore della lezione dei migliori governanti del centrosinistra il cui motto fu “dire la verità agli italiani”».

Sul caso Boschi, poi, dice che «se anche le ragioni stessero tutte dalla parte della sottosegretaria renziana trovo incredibile che chi esordì rottamando i politici “avvitati alla poltrona” non si faccia scrupolo di procurare danni irreparabili al proprio partito. Con i molti ostaggio di pochi. Del resto, lo stesso si deve dire per Renzi. Non c’è chi non veda come egli, con il suo spirito divisivo e la sua sequela di sconfitte, abbia condannato il Pd all’isolamento e, dunque, rappresenti un oggettivo ostacolo alla ricostruzione di un centrosinistra. È di palmare evidenza come un suo inequivoco passo indietro gioverebbe (...avrebbe giovato) a una competizione dall’esito altrimenti già scritto». E conclude: «Lascio il Parlamento senza una casa politica, con l’auspicio che altri possano riprendere il filo di quel progetto cui demmo nome Ulivo dal cui solco il PD ha così palesemente deragliato. Anche per l’ignavia dei “fratelli maggiori” dentro il PD, cui va imputata la responsabilità omissiva di non avere mosso ciglio a fronte di una deriva da tempo visibilissima, e che solo ora si profondono in stucchevoli appelli unitari».

Non bastassero queste parole, come ulteriore regalo negativo a Renzi arriva una lettera firmata dai dirigenti dei circoli Dem in Europa e segnatamente da Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Ebbene, senza lasciare spazio a possibili interpretazioni, cominciano affermando: «Abbiamo deciso, dopo una lunga e difficile riflessione, di interrompere la nostra presenza nel partito che abbiamo contribuito a fondare ed animare in tutti questi anni. La nostra decisione è frutto di una lunga serie di considerazioni su un partito che abbiamo sentito sempre come la nostra casa, e che oggi - nei metodi, nelle scelte di linea politica, negli atteggiamenti dei suoi dirigenti - non riusciamo più a riconoscere, a livello nazionale così come nell’attenzione per le comunità degli Italiani all’estero. Troppi sono gli esempi che, in questi mesi, ci hanno dimostrato come il nostro impegno è vano, se non addirittura decisamente sgradito da un gruppo dirigente che ha dimostrato la sua ottusità nella mancanza di una vera e seria volontà politica di ascolto della pluralità delle posizioni nel partito». Proseguono: «Siamo rimasti colpiti dal mancato rispetto, reiterato in più occasioni, degli organi democraticamente eletti per la definizione delle scelte politiche nonché del ruolo dei nostri iscritti, nonostante ci sia, nelle prossime settimane, un appuntamento elettorale cruciale per il nostro Paese, eppure già compromesso da una rottura, di certo non evitata ma addirittura provocata dalle politiche di questi anni, nell’area del centrosinistra».

E, dopo aver citato tutta una serie di insoddisfazioni anche nello specifico degli italiani all’estero, concludono: «Tutto questo dimostra per noi una profonda mancanza di credibilità politica dell’attuale dirigenza del nostro partito, motivo per cui - pur continuando a batterci per i nostri valori, nell’interesse delle comunità italiane in Europa - abbiamo deciso di non volerci più impegnare per questo PD».
 

Ebbene, al netto della mia assoluta disistima nei confronti di Renzi, ormai credo si possa paragonare l’ancora attuale segretario del PD a una sorta di novello Sansone che, nel momento in cui si rende conto di avere perduto ogni speranza di vittoria, preferisce copiare il personaggio biblico nella sua famosa frase «Muoia Sansone con tutti i Filistei» facendo crollare il tempio, nella fattispecie il PD, su se stesso e su tutti coloro che ancora vi sono dentro.

A questo punto, però, appare sempre più difficile separare le responsabilità di Sansone da quelle dei Filistei che avrebbero potuto in più occasioni far uscire Sansone e salvare il tempio che, simbolicamente, con i suoi valori, è decisamente più importante di qualunque Filisteo. Ormai è quasi certamente troppo tardi per riparare i danni compiuti, ma vorrei che ci si ricordasse che un’elezione persa non significa la sconfitta definitiva degli ideali, ma che la distruzione di quello che era uno dei contenitori più importanti di quegli ideali può condannare a una lunghissima e faticosissima opera di ricostruzione da zero prima di poter sperare di riprendere quella strada che ha portato ai progressi sociali che abbiamo visto realizzare prima che per troppi la politica diventasse soltanto una corsa al posto e al potere e non fosse più, invece, il lavoro di ragionamento, previsione e mediazione necessario per il realizzare il bene comune possibile per tutti.

Buon Natale a tutti. Ma che sia un Natale vero e cioè non festivo, ma quel tanto di arrabbiatura che deriva dal fatto di essere consci che la nascita che si celebra era avvenuta per cambiare in meglio il mondo.

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