giovedì 21 dicembre 2017

Come abbiamo fatto?

Pochi se ne ricordano e ancor meno sono coloro che hanno interesse a ricordarsene, ma il 22 dicembre ricorre il settantesimo anniversario dell’approvazione, da parte dell'Assemblea Costituente, della nostra Costituzione che –come promemoria per i prossimi giorni – fu poi promulgata dal capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in edizione straordinaria cinque giorni dopo, il 27 dicembre, ed entrò in vigore il primo gennaio del 1948.
E, del resto, sarebbe strano che se ne ricordassero perché non si vede davvero il motivo per il quale istituzioni, uomini politici, amministratori, partiti che hanno fatto di tutto per stravolgerla dovrebbero oggi ricordare la debacle subita il 4 dicembre nel referendum popolare che l’ha invece salvata. Né hanno interesse a ricordarlo i partiti che si sono schierati contro l’iniziativa dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi più per motivi di politica spicciola che per ideali democratici. Mentre quelli che lo hanno fatto perché davvero ci credevano sono tornati nell’ombra, o per libera scelta, o in quanto l’imminenza di importanti appuntamenti elettorali ha portato ancora una volta in primo piano la caccia al voto e alle candidature, relegando soltanto sullo sfondo, se non a parole, i discorsi politici e su quelli che vengono definiti “i programmi”.

Così non fosse l’anniversario della Costituzione non sarebbe stato messo in ombra neppure dalla vicenda Boschi – Banca Etruria nella quale appare evidente a tutti che né il presidente del Consiglio, né la ministra hanno puntato una pistola alla tempia di chi doveva decidere il destino di quell’istituto di credito e che, quindi, non hanno fatto pressioni. Se poi, dopo il colloquio con la ministra, Ghizzoni si è visto arrivare una mail di garbato sollecito a dare notizie da parte di Marco Carrai, grande amico dell'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, neppure questa può essere considerata una pressione e poi comunque – come ha detto Rosato con la stessa autorevolezza e onestà intellettuale con cui difende la legge elettorale che da lui prende il nome – in tutto questo il PD non c’entra.

Ma a dimostrare che all’attuale panorama politico della Costituzione importa poco o niente è la discussione sulla finanziaria. Forse non è superfluo ricordare che l’articolo 1 della nostra Carta fondamentale recita così: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ed è proprio su quella parolina “lavoro” che dovrebbe appuntarsi la nostra attenzione.

Mentre nella Manovra per il prossimo anno entrano svariati provvedimenti tesi a elargire contributi economici di vicinanza politica o territoriale che puntano a ottenere un segno di gratitudine al momento di inserire la scheda nell’urna, dal dispositivo escono alcuni correttivi a costo zero che erano stati promessi proprio perché ad alcuni quella parola “lavoro” interessa parecchio, sia perché fornisce, a chi ce l’ha, la possibilità di campare, sia in quanto la sua assenza ufficiale costituisce, in una società come la nostra, una gravissima sottrazione di dignità.

Ebbene, distratti dai discorsi sulle banche e da altre quotidiane polemiche di piccolo cabotaggio, inventate quasi esclusivamente per ottenere qualche titolo sui giornali o nei telegiornali, quasi nessuno ha parlato con il risalto che avrebbe meritato del fatto che le promesse di modifica del Jobs act, comunque leggerissime, sono saltate immediatamente, senza neppure soverchie discussioni. Sono scomparse le novità sulla durata massima dei contratti a termine e delle proroghe che avrebbero dovuto passare da 36 a 24 mesi e, su indicazione del governo, è stato anche ritirato l'emendamento che portava da 4 a 8 le mensilità minime da pagare al lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa. Nonostante l’abbondante spreco di parole, insomma, il lavoro resta in fondo alla graduatoria delle preoccupazioni di gran parte del nostro mondo politico al quale continua a far comodo non rilevare che nelle statistiche hanno lo stesso valore coloro che lavorano a tempo pieno e indeterminato e quelli che hanno impieghi da un giorno al mese, e appare evidente che l’offerta di correzioni del Jobs act fatta ad Articolo 1 – MDP da parte dei mediatori del PD era soltanto un espediente per raggiungere un’alleanza elettorale e non un segnale di cambiamento di rotta sociale.

Può far piacere sentire che il presidente della Commissione Lavoro della Camera, il dem Cesare Damiano, dica: «L'esecutivo sta compiendo un errore che non è di poco conto. La prossima legislatura dovrà affrontare questo problema perché in Italia licenziare costa troppo poco ed è diventato troppo facile». Ma prima di congratularsi con lui, sarebbe l caso di ricordargli che continua a sostenere un partito senza il quale licenziare non sarebbe costato «troppo poco», e di chiedergli se davvero ritiene che chi sarà al governo nella prossima legislatura – destra, grillini o PD di Renzi – si impegnerà a cambiare quello che in questa legislatura nessuno si è impegnato a evitare.

Credo che il settantesimo anniversario della Costituzione non richieda molti festeggiamenti, né ridondanti celebrazioni, ma che almeno imponga di pensare prima di recarsi alle urne. Ricordando come a questa Costituzione si sia arrivati e quanto sangue e sofferenze sia costata non possiamo non chiederci ancora una volta: come abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto quei sacrifici? Come abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle speranze?

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