sabato 7 ottobre 2017

Statica e dinamica

Mi rendo conto che rischio di essere terribilmente noioso, ma, in un momento in cui tutti ripetono che è necessario realizzare «l’unità della sinistra», mi sembra doveroso tornare a chiederci, ancora una volta, che cos’è la sinistra. Perché, per esempio, se si vuole costituire un’associazione tra vegani sarà ben necessario assicurarsi che tra i soci non ci siano anche molti estimatori di fiorentine, cotolette, salami e prosciutti.

Poi tutti dicono che in politica queste distinzioni sono molto più sfumate, o addirittura non esistono, ma io credo che questa affermazione valga soltanto per quella cosa che oggi viene ancora definita politica e che, per esempio, permette a Renzi di definire a giorni alterni “nemici” e “amici” coloro che se ne sono andati perché non sopportavano più il suo satrapismo; mentre non valeva affatto per la politica vera, quella che si occupava del bene della polis.

E allora, senza neppure andare a disturbare l’illuminante “Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica”, scritto da Norberto Bobbio nel 1994, proviamo a chiederci cos’è in realtà la sinistra e, quindi, chi in questa sinistra unita può avere i titoli per entrare. Altrimenti dovremmo parlare di un’unione di altro tipo; sempre legittima, per carità, ma destinata a usare altri termini per identificarsi e per non truffare coloro che credono onestamente di entrare in un tipo di consesso e poi, inopinatamente, si trovano in un luogo completamente diverso.

Secondo me la prima e più importante differenza, da cui tutte le altre discendono, è che, in politica, la destra è un concetto statico, mentre quello di sinistra è assolutamente dinamico. Per spiegarmi meglio coloro che sono di destra puntano a creare una situazione, o a tornare a una condizione, che considerano ottimale per il loro benessere; una volta raggiunto l’obbiettivo, operano in modo tale che tutto si fermi per non compromettere l’equilibrio – o il disequilibrio – raggiunto. La sinistra, invece, sa di non avere punti di arrivo definitivi, ma soltanto tappe da completare per proiettarsi poi verso nuovi traguardi perché, se il sogno è quello di un benessere paritario per tutti, mai ci potrà essere una situazione nella quale non esistano più ingiustizie, disparità, sofferenze, egoismi e, quindi, dopo ogni conquista bisognerà rimettersi immediatamente in moto senza neppure darsi il tempo per festeggiare.

Ma veniamo anche a esempi concreti. Non ritengo di sinistra coloro che dicono che il Jobs Act è stata una legge splendida perché ha procurato 850 mila posti di lavoro in più. A prescindere, infatti, che la situazione economica generale non poteva non creare un “rimbalzo” dopo che si era toccato il fondo in termini di occupazione, mi appare in clamorosa malafede chi ferma la sua analisi al numero degli occupati trascurando completamente la qualità dell’occupazione in termini di durata, retribuzione, sicurezza. È come voler inserire nello stesso calcolo cose totalmente diverse e – la matematica ce lo insegnava già alle elementari – la cosa non ha senso. Non ritengo di sinistra coloro che, dopo aver affermato giustamente che le imprese devono poter sopravvivere, accollano il peso di questa sopravvivenza esclusivamente sui lavoratori, causandone l’impoverimento e l’emarginazione sociale e, come conseguenza inevitabile, anche la crisi del mercato.

Non ritengo di sinistra coloro che, come Alfano, ma anche come la Boschi e non come Delrio, dicono che quella dello Ius soli è una legge giusta, ma da far votare in altri momenti perché la sua approvazione potrebbe far perdere qualche voto. Perché nella sinistra, come dicevo prima, è l’insoddisfazione il motore principale che spinge ad agire comunque. Se non lo si fa, si ritiene che la convenienza sia più importante del valore che si vuole difendere; e di dinamico in questo non c’è proprio nulla.

Non credo siano di sinistra quelli che, costruendo leggi elettorali con grandi premi di maggioranza, liste bloccate, capilista sicuri e pluricandidature, antepongono la cosiddetta governabilità alla rappresentanza. Non è certamente di sinistra, infatti, pensare che si possa conferire ogni potere a un uomo per cinque anni. E non soltanto perché è legittimo non fidarsi del fatto che l’abitudine al potere può far perdere il senso delle proporzioni e finire per credersi infallibile, ma in quanto in cinque anni molte situazioni del tutto inattese possono affacciarsi all’orizzonte e non è lecito togliere ai cittadini la possibilità di esprimersi in maniera efficace davanti alle nuove evenienze.

E in questo senso non è di sinistra – so che ad alcuni questa affermazione piacerà ancor meno delle altre, ma tant’è – chi, proprio per favorire la cosiddetta governabilità, si mette in testa di cambiare nella sostanza una Costituzione che si ha sempre difeso; e anche chi questo tentativo, fortunatamente fallito poco meno di un anno fa, ha approvato e continua a dire che era nel giusto.

E potrei andare avanti ancora a lungo, ma già questi punti bastano per capire che troppo spesso, quando si parla di «unità della sinistra», non lo si fa nell’ottica di un significato politico per la ricerca di alleanze che puntino al bene della gente, ma soltanto per assicurare la vittoria al proprio partito o, forse più frequentemente, comunque troppo frequentemente, per assicurare un posto a se stessi.

Fare politica è un’ambizione seria. Facciamo in modo che questa ambizione – sempre estremamente dinamica – possa diventare realtà.


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