venerdì 13 ottobre 2017

Sdegno, ma soprattutto sconforto

I saggi raccomandano di lasciar passare un congruo lasso di tempo prima di parlare. Fidandomi, l’ho fatto, ma devo dire che, pur dopo molte ore, i sentimenti non sono cambiati di molto rispetto al primo momento: si può parlare di indignazione, sdegno, riprovazione, arrabbiatura, rabbia repressa, ma davanti a quello che è stato fatto succedere alla Camera, per far passare una legge elettorale che neppure il suo più accanito sostenitore riesce a definire buona, il sentimento più acuto che si avverte è quello della tristezza; anzi, dello sconforto.

Perché di avventurieri, pirati, approfittatori, egoisti, arrampicatori sociali in politica ne abbiamo visti tanti che hanno calpestato le necessità della polis per soddisfare quelle proprie, o quelle del proprio gruppo, politico, o meno che fosse. Ma mai, se si eccettuano alcuni tentativi, fortunatamente falliti, si era tentato non di abbattere platealmente la democrazia (fatto troppo clamoroso perché possa essere accettato da un popolo, pur abbastanza intorpidito da anni di indotto disinteresse) ma di stravolgerne il significato fino a rovesciarne il senso; fino a rendere nocive le cose buone che aveva introdotto in un mondo da sempre assuefatto agli autoritarismi di svariatissime fatte; fino a riuscire a sbandierare il nome della democrazia, ma soltanto il nome perché, invece, la sostanza si è tanto corrotta da diventare sempre più simile a un dispotismo di vecchio stampo mascherato con alcuni inefficaci pseudo abbellimenti di facciata.

E questa deriva – che è giusto non chiamare fascismo, ma sempre ricordando che il fascismo non è l’unico male che infetta il mondo – ha travolto valori, idee, organizzazioni, persone, istituzioni.

Non mi riferisco certamente a Renzi perché lui, peggio di come si era già comportato non avrebbe potuto fare, ma pensate a Gentiloni, uomo che aveva dato speranze per la sua moderazione e per il modo in cui ha affrontato alcuni temi sociali, ma che alla fine si è rivelato quello che tanti temevano: soltanto un “uomo dello schermo” la cui funzione, ben lungi dai romanticismi danteschi, è stata soltanto quella di nascondere Renzi che, in realtà, è sempre stato colui che ha diretto il governo: in forma nascosta fin quando è stato possibile, in maniera assolutamente palese quando l’arroganza è diventata necessaria per portare avanti una richiesta di fiducia governativa su una materia per la quale il Presidente del Consiglio apparente aveva spergiurato che mai sarebbe intervenuto.

Ripensate a quelli, come Bersani, che se ne sono usciti dal Pd, ma lo hanno fatto troppo tardi, quando ormai non avevano potuto più incidere su nulla, neppure su un indebolimento di quel Renzi per le cui iniziative avevano continuato a votare per amore della “ditta”. E che poi per troppo lungo tempo se ne sono stati tranquilli aspettando quelli che, come molti seguaci di Pisapia, nel PD non ci sono mai stati, ma che non vedrebbero l’ora di entrarci, in tutto o in parte, per occupare qualche poltrona.

Provate ad appuntare di nuovo la vostra attenzione sulla parola “governabilità”, in realtà una parolaccia che è nata per difendere qualsiasi nefandezza compiuta ai danni della rappresentanza. E il succo della democrazia è la rappresentanza, non la governabilità che in una dittatura è comunque assicurata, anche se di rappresentanza non c’è la minima traccia. E qualunque decisioni sposti l’equilibrio democratico di una nazione allontanandolo dalla rappresentanza per avvicinarsi alla governabilità dovrebbe far sobbalzare per il sospetto, se non direttamente per il raccapriccio.

Pensate che ci sia ancora rappresentanza? Come, visto che i voti vengono manipolati con soglie di sbarramento, per di più diverse se si riferiscono ai partiti, o alle coalizioni? Visto che si vorrebbero ancora i premi di maggioranza? Visto che ci sono liste e capilista bloccati e candidature multiple? Se almeno i due terzi dei prossimi parlamentari non dovrebbero essere scelti dal popolo, ma dai maggiorenti dei vari partiti?

Ricordate come nel referendum del 4 dicembre abbia vinto quella parte della nazione che voleva tenere ben separati il potere legislativo da quello esecutivo e riguardate a come oggi il Parlamento – o per il momento la Camera – sia stato ancora una volta umiliato con una serie di voti di fiducia imposti su un’orrenda legge elettorale che, oltre a tutto, vuole cambiare le regole del gioco a pochi mesi dalle nuove consultazioni.

Per una volta, per una volta almeno, l’unica via d’uscita onesta da questo ginepraio di orrende e incostituzionali leggi elettorali in cui ci hanno cacciato tutti coloro che per anni hanno tentato di approfittare in maniera truffaldina della loro apparente situazione di vantaggio, sarebbe quella di tornate al proporzionale puro per riavere per una volta, per una volta almeno, seduti nel Parlamento degli eletti che rappresentino davvero il quadro politico del popolo italiano. E che possano mettere mano seriamente, e in tempi non sospetti, a una legge elettorale seria.

All’inizio parlavo di sconforto, ma lo sconforto deve necessariamente essere soltanto un momento di passaggio che riporta all’indignazione e all’imperativo categorico di impegnarsi per cancellare la maggior parte delle tante brutture con le quali ci hanno costretti a convivere coloro che, pur senza poterli scegliere, abbiamo eletto.

E ora cosa fare? Sicuramente non disertare le urne, ma battersi, invece, per sostenere coloro che crediamo si impegneranno davvero nel cercare di restituirci la democrazia, tenendo ben presente che è sempre meglio una democrazia vera di una virtuale. Sia perché delle macchine, o meglio degli uomini che guidano le macchine, è meglio non fidarsi troppo, sia perché chi la pratica ancora non ha capito che democrazia non è vincere, ma saper rendere reali i bisogni e i sogni della gente, anche e soprattutto ricordandosi di non essere infallibili e di avere bisogno di arrivare a compromessi sapendo pure dire «Ho sbagliato» e tornando indietro per correggere gli errori.

Sembra casuale, ma forse non lo è: venerdì 20, alle 17.30, al circolo Nuovi Orizzonti, in via Brescia 1, ai Rizzi di Udine, l’Associazione Sul fronte delle idee ha organizzato un incontro per discutere sul tema «La visione che rinforza l'arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, ingiustizie e violenze...: il vincitore prende tutto», una frase tratta dall’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco. Sembra una citazione profetica, ma, ammesso e non concesso che il Pontefice si riferisse soltanto all’Italia, la previsione sarebbe stata abbastanza facile; quasi scontata.

Sembra che ancora una volta saremo costretti a disturbare Dante dicendo «Ahi, serva Italia». Ma, se ci si impegna, c’è ancora qualche possibilità che questa frase torni nell’armadio dei brutti ricordi.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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