mercoledì 12 luglio 2017

Abbiamo scherzato

Sono anni che le mancanze democratiche a livello nazionale sono così abbaglianti da far passare inosservate quelle – diciamo così – locali. Un caso che colpisce, per esempio, è quello che ha coinvolto la Commissione edilizia del Comune di Udine di cui quattro componenti hanno rassegnato le dimissioni dopo che dalla Commissione stessa era stato dato parere negativo sul nuovo edificio che sorgerà al posto dell’ex Upim di via Cavour e che la giunta comunale aveva dato, invece, via libera conformemente al parere della Soprintendenza.
Lontana da me l’intenzione di dare giudizi di tipo estetico sul nuovo progetto: sarebbe una cosa del tutto personale, anche se mi sembra che riproporre la stessa tipologia di un palazzo da poco costruito a poche centinaia di metri, vicino al teatro, indichi una certa mancanza di attenzioni per un sito importantissimo per il centro storico di Udine. Né mi sogno di contestare le valutazioni negative di professionisti evidentemente stimati, visto che sono stati chiamati a far parte della Commissione.

Quello che colpisce è il fatto che certi strumenti definiti “democratici” non siano altro che deliberato fumo negli occhi per impedire di vedere che di incrostazioni di democrazia ne sono rimaste ben poche su strutture pubbliche che ormai preferiscono ampiamente – già dal momento elettorale – la “governabilità” alla “rappresentatività”. E questo appare quantomeno curioso in un sistema che si autodefinisce di “democrazia rappresentativa”.

Che senso ha, infatti, costituire una commissione che può dare soltanto pareri non vincolanti? Se si tratta di valutazioni di tipo scientifico non si vede come e perché queste valutazioni possano essere disattese. Se si tratta, invece, di opinioni personali, non si capisce né perché sia necessario darle, né per quale motivo, eventualmente, le scelte dei componenti la Commissione siano state fatte da determinati organi amministrativi e professionali e non siano state demandate alla preferenza del popolo che vorrebbe essere rappresentato.

Ma se per il nuovo edificio ogni discussione sembra ormai chiusa, molti dubbi di democraticità sussistono ancora sulla determinazione degli spazi che saranno destinati per qualche anno a ospitare il cantiere. Al di là delle inevitabili porzioni di strada tolte a via Cavour e a via Savorgnana, il progetto prevede, infatti, che scompaiano per l’uso comune, pur temporaneamente, i giardini pubblici – e la parola “pubblici” dovrebbe avere ancora qualche significato – di piazzetta Belloni e di palazzo Morpurgo che, tra l’altro, perderà anche l’uso della corte diventata ormai tradizionale luogo di appuntamento estivo per le attività culturali cittadine.

Si dice che poi tutte le aree saranno ripristinate entro dieci mesi dalla conclusione dei lavori. Ma come saranno ripristinate? Con quale progetto comunale? Fatto da chi e valutato pro forma e probabilmente inutilmente dalla commissione edilizia? E, fatto ancora più importante, qualcuno vorrà dire che gli alberi esistenti, vecchi e alti, non potranno essere ripristinati perché saranno abbattuti per fare spazio a qualche gru?

Se lo spazio è pubblico, potrà essere il pubblico a esprimere un proprio parere? E non si venga a dire che il tutto sarà giustificato dalla scomparsa di alcune barriere architettoniche che esistono soltanto se si vuole seguire la via più breve e che comunque potrebbero essere eliminate in breve tempo, con poca spesa e scarso disagio.

Senza cancellare due giardini, non si potrebbero, magari con qualche fastidio economico in più, limitare i danni inevitabili e, per ipotesi, aprire uno spazio di cantiere in una limitata porzione di quella piazza del Duomo che da anni è squallidamente deserta e sembra vivere soltanto per ospitare, di tanto in tanto, qualche bancarella, o qualche chiosco per mangiare e bere?

Se anche davanti a questa cose che coinvolgono una città per qualche anno non si ritiene che i cittadini possano dire la loro, ma che la delega sia comunque e sempre illimitata, ci aspetteremmo che quando qualcuno parla di democrazia, alla fine aggiunga: «Scusate, abbiamo scherzato».

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