Pare
impossibile, ma la politica – continuiamo a chiamarla così giusto per
capirci, ma ormai è chiaro a tutti che si tratta assolutamente di
un’altra cosa – continua a lasciarci esterrefatti. Renzi dopo il suo
ennesimo naufragio che questa volta ha cancellato il suo progetto di
legge elettorale e soprattutto il suo sogno di rientro veloce a Palazzo
Chigi, riesce a far finta di dimenticare tutto quello che ha detto fino a
ieri su possibili, anzi probabili, alleanze con Berlusconi e, con la
sua solita invidiabile faccia tosta, cambia repentinamente direzione e
si rivolge verso Pisapia ipotizzando un accordo a sinistra che, secondo
lui, sarebbe utile al possibile “Campo progressista” non per superare la
soglia dell’otto per cento attualmente fissata al Senato come
sbarramento per i partiti singoli, ma per creare una coalizione che fa
crollare la soglia al tre per cento. E, naturalmente, nessun accordo più
a destra, ma neppure al centro: «Con Alfano non se ne parla». Ma a
stupire è anche il tono della replica di Pisapia: «Se davvero vuole la
coalizione di centrosinistra, faccia le primarie. Poi vediamo chi le
vince».
Comunque andiamo con ordine,
partendo dal mistero del PD, partito “a vocazione maggioritaria” fondato
sul finire del 2007 con il sogno di rendere reale quello che, in altri
tempi e con altre persone, era stato definito “compromesso storico” e
mai riuscito compiutamente né a essere maggioritario, né a far convivere
le sue due anime.
Ebbene, il PD è al suo quinto
segretario e non ne ha mai perdonata una ai primi quattro: Veltroni
(ottobre 2007 – febbraio 2009) ha dovuto dimettersi dopo la sconfitta
alle regionali sarde; Dario Franceschini (marzo – ottobre 2009) fallisce
per la sconfitta alle Europee che non riesce nemmeno a preparare perché
che arrivano subito dopo la sua elezione; Pier Luigi Bersani (ottobre
2009 – aprile 2013) si dimette per aver “vinto troppo poco” le
Politiche. Infine, Guglielmo Epifani (maggio – dicembre 2013) che fa
soltanto da traghettatore verso una nuova segreteria.
Insomma, non solo una vocazione
maggioritaria, ma anche una visibile insofferenza nei riguardi dei “non
vincenti”. Poi arriva Renzi che dopo aver pugnalato alle spalle Letta e
aver costituito un “governo di larghe intese” con il centrodestra,
comincia benissimo superando il 40 per cento alle Europee, ma poi infila
una serie di rovesci da collezione: il crollo dell’affluenza in Emilia,
le brucianti sconfitte alle Amministrative del 2015 che fanno perdere
al PD regioni e città tradizionalmente orientate a sinistra, gli ancor
più brucianti disastri alle Amministrative del 2016 con le perdite –
tanto per fare soltanto tre nomi – di Roma, Torino e Trieste. E poi, il 4
dicembre, arriva la disfatta al referendum costituzionale voluto da
Renzi quando il vento sembrava soffiargli a favore e che scambiava
volentieri la distruzione della nostra Carta fondamentale con un
maggiore potere all’esecutivo che Renzi neppure sognava potesse non
essere legato al suo nome.
Ebbene, mentre ai primi segretari
nulla è stato perdonato, a Renzi tutto si perdona, tanto da farlo
rieleggere largamente dopo delle dimissioni chiaramente fittizie e dopo
l’uscita di tanti padri nobili dal partito e l’allontanarsi di una
moltitudine di elettori: gli si perdona non soltanto il susseguirsi di
sconfitte, ma anche il fatto di voler portare sempre più a destra il PD.
Anche se, vista l’ultima offerta fatta a Pisapia, risulta sempre più
evidente che a Renzi poco importa della propria collocazione politica e
che non agisce seguendo ideali sociali, ma cerca soltanto di andare dove
pensa di poter trarre i maggiori vantaggi: prima a destra e ora a
sinistra.
Il mistero maggiore resta, comunque,
come quelli che continuano a restare nel PD e, contemporaneamente, a
professarsi di centrosinistra, non abbiano defenestrato Renzi, o non se
ne siano andati.
Ma un mistero ancora più grande – e,
dal punto di vista mio, più preoccupante – è la risposta di Pisapia:
«Se davvero vuole la coalizione di centrosinistra, faccia le primarie.
Poi vediamo chi le vince».
L’unica speranza è che si tratti di una risposta carica di ironia
voluta, ma non ben espressa. Ma, se così non è e se Pisapia coltiva
ancora – come aveva a suo tempo detto – la speranza di fare una
coalizione con un PD a guida Renzi, ci cadono le braccia. E perché non
anche delle primarie aperte a Berlusconi, ad Alfano (anche se a Renzi
pare non vada più), a Verdini? Sono anche loro persone che massacrano
volentieri i lavoratori, che difendono i patrimoni, che salvano non le
banche e le imprese di Stato o le partecipate, ma coloro che le dirigono
e che passano da un fallimento all’altro incassando ogni volta delle
liquidazione da favola, o – meglio – da vergogna.
Probabilmente si tratta di ironia,
visto che Pisapia ha anche aggiunto che «Rimango sempre favorevole al
dialogo, ma tenendo fermo il punto che qualsiasi alleanza con il
centrodestra è contro i nostri valori, oltre che un inganno agli
elettori». Ma vorremmo fosse chiaro, oltre al fatto che Renzi non è di
centrosinistra, che se il teorico “Campo progressista” pensa di partire e
procedere ancora una volta soltanto con dialoghi e discussioni tra i
capi, decidendo poi a prescindere da quello che pensano i suoi possibili
elettori, allora quel “cupio dissolvi” che ormai attanaglia il PD come
forza progressista, minaccia di estendersi anche al progetto di una
nuova forza davvero di centrosinistra. E sarebbe ancora più grave perché
sarebbe un “cupio dissolvi” anticipato che si applicherebbe prima di
qualsiasi nascita; addirittura alla speranza.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento