sabato 10 giugno 2017

Cupio dissolvi anticipato

Pare impossibile, ma la politica – continuiamo a chiamarla così giusto per capirci, ma ormai è chiaro a tutti che si tratta assolutamente di un’altra cosa – continua a lasciarci esterrefatti. Renzi dopo il suo ennesimo naufragio che questa volta ha cancellato il suo progetto di legge elettorale e soprattutto il suo sogno di rientro veloce a Palazzo Chigi, riesce a far finta di dimenticare tutto quello che ha detto fino a ieri su possibili, anzi probabili, alleanze con Berlusconi e, con la sua solita invidiabile faccia tosta, cambia repentinamente direzione e si rivolge verso Pisapia ipotizzando un accordo a sinistra che, secondo lui, sarebbe utile al possibile “Campo progressista” non per superare la soglia dell’otto per cento attualmente fissata al Senato come sbarramento per i partiti singoli, ma per creare una coalizione che fa crollare la soglia al tre per cento. E, naturalmente, nessun accordo più a destra, ma neppure al centro: «Con Alfano non se ne parla». Ma a stupire è anche il tono della replica di Pisapia: «Se davvero vuole la coalizione di centrosinistra, faccia le primarie. Poi vediamo chi le vince».

Comunque andiamo con ordine, partendo dal mistero del PD, partito “a vocazione maggioritaria” fondato sul finire del 2007 con il sogno di rendere reale quello che, in altri tempi e con altre persone, era stato definito “compromesso storico” e mai riuscito compiutamente né a essere maggioritario, né a far convivere le sue due anime.
Ebbene, il PD è al suo quinto segretario e non ne ha mai perdonata una ai primi quattro: Veltroni (ottobre 2007 – febbraio 2009) ha dovuto dimettersi dopo la sconfitta alle regionali sarde; Dario Franceschini (marzo – ottobre 2009) fallisce per la sconfitta alle Europee che non riesce nemmeno a preparare perché che arrivano subito dopo la sua elezione; Pier Luigi Bersani (ottobre 2009 – aprile 2013) si dimette per aver “vinto troppo poco” le Politiche. Infine, Guglielmo Epifani (maggio – dicembre 2013) che fa soltanto da traghettatore verso una nuova segreteria.

Insomma, non solo una vocazione maggioritaria, ma anche una visibile insofferenza nei riguardi dei “non vincenti”. Poi arriva Renzi che dopo aver pugnalato alle spalle Letta e aver costituito un “governo di larghe intese” con il centrodestra, comincia benissimo superando il 40 per cento alle Europee, ma poi infila una serie di rovesci da collezione: il crollo dell’affluenza in Emilia, le brucianti sconfitte alle Amministrative del 2015 che fanno perdere al PD regioni e città tradizionalmente orientate a sinistra, gli ancor più brucianti disastri alle Amministrative del 2016 con le perdite – tanto per fare soltanto tre nomi – di Roma, Torino e Trieste. E poi, il 4 dicembre, arriva la disfatta al referendum costituzionale voluto da Renzi quando il vento sembrava soffiargli a favore e che scambiava volentieri la distruzione della nostra Carta fondamentale con un maggiore potere all’esecutivo che Renzi neppure sognava potesse non essere legato al suo nome.

Ebbene, mentre ai primi segretari nulla è stato perdonato, a Renzi tutto si perdona, tanto da farlo rieleggere largamente dopo delle dimissioni chiaramente fittizie e dopo l’uscita di tanti padri nobili dal partito e l’allontanarsi di una moltitudine di elettori: gli si perdona non soltanto il susseguirsi di sconfitte, ma anche il fatto di voler portare sempre più a destra il PD. Anche se, vista l’ultima offerta fatta a Pisapia, risulta sempre più evidente che a Renzi poco importa della propria collocazione politica e che non agisce seguendo ideali sociali, ma cerca soltanto di andare dove pensa di poter trarre i maggiori vantaggi: prima a destra e ora a sinistra.

Il mistero maggiore resta, comunque, come quelli che continuano a restare nel PD e, contemporaneamente, a professarsi di centrosinistra, non abbiano defenestrato Renzi, o non se ne siano andati.

Ma un mistero ancora più grande – e, dal punto di vista mio, più preoccupante – è la risposta di Pisapia: «Se davvero vuole la coalizione di centrosinistra, faccia le primarie. Poi vediamo chi le vince».
 

L’unica speranza è che si tratti di una risposta carica di ironia voluta, ma non ben espressa. Ma, se così non è e se Pisapia coltiva ancora – come aveva a suo tempo detto – la speranza di fare una coalizione con un PD a guida Renzi, ci cadono le braccia. E perché non anche delle primarie aperte a Berlusconi, ad Alfano (anche se a Renzi pare non vada più), a Verdini? Sono anche loro persone che massacrano volentieri i lavoratori, che difendono i patrimoni, che salvano non le banche e le imprese di Stato o le partecipate, ma coloro che le dirigono e che passano da un fallimento all’altro incassando ogni volta delle liquidazione da favola, o – meglio – da vergogna.

Probabilmente si tratta di ironia, visto che Pisapia ha anche aggiunto che «Rimango sempre favorevole al dialogo, ma tenendo fermo il punto che qualsiasi alleanza con il centrodestra è contro i nostri valori, oltre che un inganno agli elettori». Ma vorremmo fosse chiaro, oltre al fatto che Renzi non è di centrosinistra, che se il teorico “Campo progressista” pensa di partire e procedere ancora una volta soltanto con dialoghi e discussioni tra i capi, decidendo poi a prescindere da quello che pensano i suoi possibili elettori, allora quel “cupio dissolvi” che ormai attanaglia il PD come forza progressista, minaccia di estendersi anche al progetto di una nuova forza davvero di centrosinistra. E sarebbe ancora più grave perché sarebbe un “cupio dissolvi” anticipato che si applicherebbe prima di qualsiasi nascita; addirittura alla speranza.


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