mercoledì 20 luglio 2016

Il brufolo e la malattia

In questi giorni di dolore e di rabbia per un terrorismo sempre più crudelmente inumano e sempre meno mirato, di orrore per continui razzismi e vendette, e di preoccupazione per come in sempre più Paesi si acuisca la tendenza alla ricerca dell’uomo forte e non del popolo coinvolto e consapevole, non ci si può dimenticare - anche se non è facile farlo - dei pericoli che corre l’Italia con la riforma costituzionale e con il suo “combinato disposto “ con la nuova legge elettorale.
Ho già dichiarato che farò tutto quanto è possibile - non tanto per il bene mio, ma per il futuro democratico di mia figlia, di mia nipote e di tutti i loro coetanei - affinché a ottobre (o a novembre, o chissà quando) vinca il no; ma comunque andrà a finire ritengo si debba chiarire subito che l’impegno dei componenti dei comitati del No non potrà, né dovrà esaurirsi dopo il conteggio delle schede, in quanto Renzi - per quanto importante lui reputi se stesso - altro non è che la punta di un pericolosissimo iceberg, o una specie di brufolo che indica, ma in parte nasconde la vera malattia che oggi i più indicano con soddisfazione come un grande successo della chirurgia sociale: la scomparsa delle ideologie che, però, in realtà consiste soltanto in un intervento di chirurgia estetica perché un’ideologia, assolutamente per ora vincente, è rimasta.

Cancellato il nome e la veste politica che avrebbero potuto coinvolgerla nel rifiuto che ha affossato tutte le degenerazioni delle altre ideologie, infatti – come acutamente già rilevava Natalino Irti nel suo “La tenaglia” di otto anni fa – si è palesata esplicitamente nella sua sostanza: il liberismo economico, fondato sul capitale privato e sulla volontà di guadagno a ogni costo. E anche nella sua ambizione: diventare - proprio come i comunismi, i fascismi e i fondamentalismi assortiti - una visione della vita che pervade il mondo intero, che diventa contemporaneamente teoria e prassi, determinando linguaggi, costumi e modi del fare; cancellando, come le aberrazioni di cui sopra, l’unica cosa che dovrebbe importare davvero: l’uomo, la sua vita, la sua dignità, le sue aspirazioni.

Come si lega questo discorso al referendum costituzionale? È semplice: il trionfo dell’ideologia del mercato e della finanza su tutte le altre, grazie anche a una pretesa oggettività dei numeri, ha portato al dominio del pragmatismo della quotidianità. E la quotidianità, con la conseguente mancanza di un vero progetto sociale per il futuro, comporta - per riuscire a dare un senso alla propria collocazione al vertice del potere esecutivo di una nazione - la necessità di un’ossessiva volontà di “riforme” e di “riforma delle riforme”.

In queste condizioni le leggi non hanno né durata, né stabilità; sembrano immerse in un processo continuo, oggi possono essere e domani non essere più, a seconda della convenienza del momento di chi comanda in quel momento. Le leggi, insomma, sembrano esistere quasi soltanto come invito a essere cambiate. Manca una direzione, non c’è un fine davvero sociale e rimangono soltanto le procedure produttive di tutte le norme di cui il pragmatismo della quotidianità ritenga di avere bisogno. E la lotta politica finisce per volgersi quasi esclusivamente alla conquista della macchina che gestisce le procedure che possono tramutare in legge ogni volontà del potere.

E qui arriviamo al punto, perché le volontà del potere dovrebbero essere temperate dall’insieme di principi e valori etici contenuti in quella somma di faticosi ragionamenti e compromessi, in quel patto di convivenza che è la Costituzione entrata in vigore nel 1948 la cui sostanza, proprio perché rallenta il compimento dei desideri della maggioranza, ora Renzi e i suoi vogliono mandare in soffitta. È per questo che dico che in ogni caso si dovrà continuare a lavorare e che Renzi è soltanto un foruncolo che distrae l’attenzione dalla vera malattia. Perché anche la Costituzione, se spogliata delle sua tensione etica e sociale, altro non è che un documento fatto di norme che un acconcio numero di voti parlamentari può cambiare. E non perché i portatori di questi voti debbano avere argomenti seri e convincenti, o le loro minacce di disastri abbiano solidi fondamenti, ma in quanto la Costituzione stessa ha finito per essere consunta dai continui assalti dell’ideologia vincente e per veder esaurire la sua forza propulsiva. Perché la Costituzione ha bisogno di una fede sociale che la animi e la sorregga, una fede sociale che deve essere assolutamente riconquistata.

Dovrebbe essere evidente che Stato, Costituzione, Parlamento e governo sono elementi che devono essere uniti in una convivenza storica e che se questa storicità viene a mancare ed è sostituita dal pragmatismo della quotidianità, la crisi degli organi legislativi ed esecutivi finisce per apparire – e quindi diventare – anche crisi dello Stato e della Costituzione. Insomma, è totalmente contraddittorio salutare con gioia la morte delle ideologie politiche, e quindi dei progetti sociali, e pretendere contemporaneamente dai cittadini il senso dello Stato. Perché tra le ideologie “da rottamare” purtroppo ci sono anche l’ideologia dello Stato e della Costituzione.

Se non vogliamo che dagli obbiettivi politici e sociali ci si riduca alla pura esistenza normativa, è evidente che il lavoro dovrà essere lungo, pesante e ininterrotto perché se distruggere è stato relativamente facile indicando gli errori, le aberrazioni e una corruzione dilagante (perché anche l’"ideologia" dell’onestà è stata attaccata con determinazione), ricostruire il senso dello Stato, della Costituzione, del vivere sociale sarà molto più difficile anche perché richiederà, da parte di coloro che al futuro ancora credono, la capacità di mettere almeno temporaneamente da parte le inevitabili differenze, per unirsi nella difesa del bene maggiore che è la vera democrazia e non quella cosa che ci ostiniamo ancora a chiamare così, ma che ha soltanto vaghe rassomiglianze con quel sistema politico che ha nel voto soltanto la parte finale e – tutto sommato, visto che l’alternanza è accettabile, se non auspicabile – la meno importante rispetto ai principi, ai valori, al pensiero, al progetto, all'elaborazione, al confronto, alla mediazione e alla ricerca degli accordi che facciano il bene di tutti.


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