giovedì 23 giugno 2016

Idee e ideologie

Vorrei davvero sbagliarmi, ma credo che chi si attende novità sostanziali dalla direzione PD di domani, rimarrà profondamente deluso. Anzi, ci sarà il rischio che la minoranza del partito, nella cronica ansietà di non veder sfasciare completamente quel che resta del PD, possa accontentarsi di parole e promesse, o, al massimo di briciole di facciata più che di sostanza.
Per rendersene conto basta leggere due interviste apparse su Repubblica: la prima, ieri, a Romano Prodi; la seconda, oggi, a Marianna Madia, ministra del governo Renzi che finora si era fatta notare più per la sua silenziosa presenza, che per l’eloquio politico. A parte la differenza di spessore e di chiarezza nelle argomentazioni, mentre Prodi attacca decisamente il vero nodo della questione, che è in massima parte politico e nazionale, la Madia interviene per difendere il suo presidente del Consiglio e, quindi, se stessa, incolpando della sconfitta soltanto le evenienze locali, fino a chiedere la testa di Matteo Orfini, ex “giovane turco” e già diventato “vecchio democristiani”, come commissario del PD romano. Per la Madia a essere decisive sono state l’incapacità dei maggiorenti locali del PD di mettersi in sintonia con la gente «delle periferie» e la difficoltà di spiegare bene le riforme renziane che, a sua detta, sono bellissime.

Non una parola della Madia su quello che è, invece, il nucleo del pensiero di Prodi: «I populisti crescono perché c’è troppa ingiustizia. L’ascensore sociale è bloccato e dentro si soffoca». Un dato di fatto che è anche, in buona parte, assieme alle contrarietà diffusa all’Italicum e alla riforma costituzionale di marca Renzi–Boschi, il motivo di una sconfitta che non va trovato tanto in coloro che, invece di votare PD hanno scelto i 5stelle, ma soprattutto in quelli che, ritenendo di non avere più un simbolo di centrosinistra da barrare, hanno preferito restarsene a casa. Se non ci credete, fermatevi per un momento sul precipitare delle affluenze al voto.

Il problema di Renzi e del renzismo, come di altri, è che non sono mai riusciti a comprendere la differenza tra idee e ideologie, perché abbattere alcune ideologie – che sono la forzatura assolutizzante delle idee a scopo di dominio politico – può anche essere commendevole, visti i disastri che hanno prodotto, ma questi nuovi conducatores della politica non soltanto nostrana, nel voler distruggere le ideologie hanno cancellato anche le idee. E così sono finite in soffitta la ricerca della giustizia sociale, i diritti, il lavoro, la dignità sociale, l’eguaglianza, la libertà, la partecipazione, l’autonomia, la rappresentatività, lo sviluppo e altre cosucce che, guarda caso, si trovano tutte nei primi 12 articoli della nostra Costituzione, quelli dei Principi fondamentali. La beffa, poi, è che loro un’ideologia ce l’hanno ed è anche vecchia, visto che si tratta del mito dell’uomo solo al comando.

Ne consegue che senza idee si finisce inevitabilmente per privilegiare gli spot sperando che la gente non si accorga che sono soltanto specchietti per le allodole. Un esempio? La distribuzione degli 80 euro, magari poi chiedendoli indietro perché con gli 80 euro si supera la soglia oltre la quale non se ne ha diritto, dichiarando che così qualcuno potrà pagare qualche bolletta e magari anche andare a mangiare una pizza (aveva detto proprio così). Senza rendersi conto, invece, che quello che alla gente – e non solo a quella più povera – non manca una pizza in più ogni tanto, ma la speranza che questa crisi abbia una fine, che tutti gli italiani possano riprendere a curarsi, che i genitori tornino a sperare che i propri figli possano vivere meglio di loro, che in generale si proceda verso un mondo in cui ci sia meno disequilibrio sociale e meno disonestà.

Poi leggi altre interviste. In una Speranza dice che «ora serve più sinistra» e Renzi gli risponde che «è necessario dare un stop alle correnti», come se avere un concetto sociale diverso dal suo non fosse una questione di pensiero, ma soltanto di poltrone. In un’altra il senatore Maran, vicecapogruppo del PD, e quindi renziano di ferro, dice che, per superare la crisi, il PD deve continuare «il percorso di rottamazione» rifiutandosi di tornare ai «valori di riferimento della sinistra». Confermando implicitamente, tra l’altro, che il PD di centrosinistra assolutamente non è.

Ho sempre odiato il termine “rottamazione” se applicato alle persone e, infatti, i miei primi blog contro Renzi li ho scritti proprio accusandolo di trattare, per suo comodo, gli esseri umani con la stessa sensibilità che ha per le macchine. Ora, adeguandomi per un solo momento al suo linguaggio e scusandomene con i miei lettori, vorrei far notare a tutti i renziani che nel mondo dell’industria non vengono rottamati soltanto gli elementi usurati, ma anche quelli che hanno dei malfunzionamenti fin dall’inizio.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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