martedì 19 aprile 2016

Democrazia e demagogia

Renzi, dopo aver intestato a suo favore, oltre che i voti di coloro che hanno votato sì e il numero di quelli che hanno scelto di seguire il suo consiglio di rinunciare al diritto-dovere del voto, anche quelli di tutti gli altri che non sono andati alle urne (i morti negli ultimi giorni, gli ammalati, quelli all’estero e quelli che ormai non vanno più a votare), ha detto tronfiamente: «La demagogia non paga». C'è da credergli perché, in fatto di demagogia, ben pochi sono più esperti di lui.
Lasciamo pur perdere che a vincere non sono stati tanto i lavoratori, come ha detto Renzi, ma le aziende petrolifere che pagano cifre irrisorie allo Stato italiano anche perché devono fare un dispendioso lavoro di lobby – e non uso termini peggiori – nei confronti di chi può influenzare il governo, e soffermiamoci, invece, per un momento, sul significato di questa parola – demagogia – che, come democrazia, deriva dal greco, ma che con quella ha un significato inconciliabile, se non opposto. Mentre la democrazia, infatti, si identifica con la sovranità del popolo, la demagogia ha accezione fortemente negativa ed è la degenerazione della democrazia, l’arte di accattivarsi il favore del popolo con regalie, o con promesse di miglioramenti sociali ed economici difficilmente realizzabili, o realizzati in favore di alcuni e a scapito di altri. Esattamente quello che il governo ha fatto con la nuova legge sul lavoro (Jobs Act è un termine di gusto renziano che tende a travisare, almeno parzialmente, il senso di quello di cui si parla), con le regalie da 80, o da 500 euro, fatte a determinate categorie escludendo le altre e così via.

Sarebbe stupido dire che non si è rimasti delusi dal fatto che nel referendum di domenica non sia stato raggiunto il quorum, ma la delusione non deriva tanto dal fallimento del referendum, né dall’inqualificabile comportamento di personaggi come Renzi e Napolitano: ce lo aspettavamo in tutti questi casi. La delusione deriva, invece, anche se pure questa ce l’aspettavamo dalla scarsa resistenza di molti della dissidenza interna al PD. Se c’era un momento in cui andarsene sbattendo la porta, era proprio questo, mentre due personaggi, su cui lascio a voi il giudizio, sostenevano che non andare a votare è prova di democrazia.

Però ora viene il bello perché demagogia e democrazia dovranno affrontarsi in maniera più equilibrata, senza che nessuno possa appropriarsi del numero dei morti, dei malati, di coloro che sono assenti e di quelli che non vogliono più votare, o non sanno cosa scegliere. Ieri mattina è stato depositato in Cassazione il quesito per chiedere il referendum sulla cosiddetta “riforma costituzionale” Renzi-Boschi e Alfiero Grandi, vicepresidente del Comitato ha detto: «Le decisioni in materia costituzionale riguardano tutti i cittadini e la volontà popolare deve entrare subito in campo. È una riforma da respingere perché sottrae potere al popolo accentrandolo nelle mani del presidente del Consiglio».

Ma sono anche molte altre le considerazioni da fare e da domani in poi l’impegno maggiore sarà proprio quello di prendere in esame dettagliatamente i vari aspetti della questione, sollecitando il dibattito, perché tacere in frangenti simili equivale a essere complici di Renzi e dell’ulteriore diminuzione della democrazia in Italia.

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