mercoledì 9 marzo 2016

Non commedia, ma tragedia

Primo atto: alle primarie del PD di Napoli, Valeria Valente, sostenuta da Matteo Renzi e dalla sua maggioranza, sconfigge – per un po’ più di 400 voti su oltre 30 mila – Antonio Bassolino che si complimenta con la nuova candidata sindaco.
Secondo atto: su internet appare un filmato in cui si vede qualcuno, all’ingresso dei seggi, dare un euro a degli elettori in cambio di un voto per la Valente. Lasciando pur perdere ogni considerazione sui prezzi stracciati, è qualcosa che in altri tempi avrebbe fatto urlare di indignazione. La Valente è imbarazzata, mentre Bassolino, sempre più infuriato, minaccia ricorso. «Aspettiamo i risultati della commissione del partito che deve esaminare come sono andate le cose», dice. E poi aggiunge: «Trovo ridicole le spiegazioni che sono state date; mi sembra una ferita chiara e profonda per tante persone che hanno creduto nella partecipazione democratica».

Terzo atto: sempre tramite registrazioni video, si apprende che alcuni esponenti di centrodestra hanno presidiato i seggi e accompagnato i cittadini al voto, in alcuni casi distribuendo anche l'euro per la sottoscrizione. Tra gli altri, sono individuati Claudio Ferrara, assessore di centrodestra della VIII Municipalità, già candidato alle elezioni politiche del 2013 con Berlusconi e poi ritirato dopo l'esclusione dalla lista di Nicola Cosentino, suo referente politico, e di Giorgio Ariosto, candidato nel 2011 per la VIII municipalità del Comune di Napoli con Popolari Italia Domani, partito fondato da Totò Cuffaro, poi non eletto. Ariosto dice di essere passato al Partito Democratico.

Quarto atto: mentre Bassolino presenta ricorso e fa la figura del cavaliere senza macchia, la Valente tenta, con faccia tosta degna di un Oscar, di difendere la sua “vittoria” dicendo che «sarebbe una schifezza sporcare tutto partendo da questi fatti» e, anzi, tenta addirittura di blandire Bassolino e di coinvolgerlo dicendo che «lui è una testa, non è da rottamare».

Quinto e ultimo atto: cominciano le surreali reazioni dei dirigenti nazionali del PD. Il presidente Matteo Orfini – sì, proprio quello che dovrebbe garantire l’onorabilità, la democraticità e la trasparenza del partito – afferma che «il risultato delle primarie di Napoli non è in discussione» e che la consultazione «non va annullata». E incredibilmente aggiunge: «Se ci sono stati illeciti, anche non penalmente rilevanti ma discutibili, nel merito della regolarità dello svolgimento del singolo caso, è giusto che si prendano provvedimenti per quel singolo caso». E a dargli man forte si precipita il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini: «È inaccettabile mettere in discussione le primarie e i chiari risultati che hanno sancito».

Se portata sul palcoscenico potrebbe essere una godibile commedia, quasi un apologo su quel PD che non soltanto perde i suoi connotati iniziali, ma è sempre più dipendente e preda di esponenti del centrodestra. Ma, in realtà, è davvero una tragedia: sia per quella cosa che continua a chiamarsi – non si sa bene perché – Partito Democratico e che è formata da un’accozzaglia di persone che non amano stare insieme e che la pensano molto diversamente tra loro, sia, soprattutto per il centrosinistra, che dovrà ricostruire, con fatica e dedizione, il suo centro di gravità, magari cominciando da qualcosa che può unire come il NO alla consultazione di ottobre che – va ricordato sempre e con forza – è un referendum contro le riforme costituzionali volute da Renzi e non un plebiscito contro Renzi stesso. Perché il destino della nostra Costituzione e della nostra democrazia è infinitamente più importante di quello dell’attuale presidente del Consiglio e segretario del PD.

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