Primo atto: alle
primarie del PD di Napoli, Valeria Valente, sostenuta da Matteo Renzi e
dalla sua maggioranza, sconfigge – per un po’ più di 400 voti su oltre
30 mila – Antonio Bassolino che si complimenta con la nuova candidata
sindaco.
Secondo atto: su internet appare un
filmato in cui si vede qualcuno, all’ingresso dei seggi, dare un euro a
degli elettori in cambio di un voto per la Valente. Lasciando pur
perdere ogni considerazione sui prezzi stracciati, è qualcosa che in
altri tempi avrebbe fatto urlare di indignazione. La Valente è
imbarazzata, mentre Bassolino, sempre più infuriato, minaccia ricorso.
«Aspettiamo i risultati della commissione del partito che deve esaminare
come sono andate le cose», dice. E poi aggiunge: «Trovo ridicole le
spiegazioni che sono state date; mi sembra una ferita chiara e profonda
per tante persone che hanno creduto nella partecipazione democratica».
Terzo atto: sempre tramite
registrazioni video, si apprende che alcuni esponenti di centrodestra
hanno presidiato i seggi e accompagnato i cittadini al voto, in alcuni
casi distribuendo anche l'euro per la sottoscrizione. Tra gli altri,
sono individuati Claudio Ferrara, assessore di centrodestra della VIII
Municipalità, già candidato alle elezioni politiche del 2013 con
Berlusconi e poi ritirato dopo l'esclusione dalla lista di Nicola
Cosentino, suo referente politico, e di Giorgio Ariosto, candidato nel
2011 per la VIII municipalità del Comune di Napoli con Popolari Italia
Domani, partito fondato da Totò Cuffaro, poi non eletto. Ariosto dice di
essere passato al Partito Democratico.
Quarto atto: mentre Bassolino
presenta ricorso e fa la figura del cavaliere senza macchia, la Valente
tenta, con faccia tosta degna di un Oscar, di difendere la sua
“vittoria” dicendo che «sarebbe una schifezza sporcare tutto partendo da
questi fatti» e, anzi, tenta addirittura di blandire Bassolino e di
coinvolgerlo dicendo che «lui è una testa, non è da rottamare».
Quinto e ultimo atto: cominciano le
surreali reazioni dei dirigenti nazionali del PD. Il presidente Matteo
Orfini – sì, proprio quello che dovrebbe garantire l’onorabilità, la
democraticità e la trasparenza del partito – afferma che «il risultato
delle primarie di Napoli non è in discussione» e che la consultazione
«non va annullata». E incredibilmente aggiunge: «Se ci sono stati
illeciti, anche non penalmente rilevanti ma discutibili, nel merito
della regolarità dello svolgimento del singolo caso, è giusto che si
prendano provvedimenti per quel singolo caso». E a dargli man forte si
precipita il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerini: «È inaccettabile
mettere in discussione le primarie e i chiari risultati che hanno
sancito».
Se portata sul palcoscenico potrebbe
essere una godibile commedia, quasi un apologo su quel PD che non
soltanto perde i suoi connotati iniziali, ma è sempre più dipendente e
preda di esponenti del centrodestra. Ma, in realtà, è davvero una
tragedia: sia per quella cosa che continua a chiamarsi – non si sa bene
perché – Partito Democratico e che è formata da un’accozzaglia di
persone che non amano stare insieme e che la pensano molto diversamente
tra loro, sia, soprattutto per il centrosinistra, che dovrà ricostruire,
con fatica e dedizione, il suo centro di gravità, magari cominciando da
qualcosa che può unire come il NO alla consultazione di ottobre che –
va ricordato sempre e con forza – è un referendum contro le riforme
costituzionali volute da Renzi e non un plebiscito contro Renzi stesso.
Perché il destino della nostra Costituzione e della nostra democrazia è
infinitamente più importante di quello dell’attuale presidente del
Consiglio e segretario del PD.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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