domenica 20 marzo 2016

Da un referendum all'altro

È del tutto evidente che molte e sostanziali sono le differenze tra il referendum sulle trivellazioni, fissato per il 17 aprile, e quello sulle riforme costituzionali volute da Renzi, che si terrà in ottobre. Intanto il primo è un referendum abrogativo, mentre il secondo è costituzionale e, quindi, confermativo: quindi va tenuto presente che chi è in disaccordo dovrà votare sì nel primo è no nel secondo. Poi per il primo è necessario raggiungere il quorum fissato nel 50 per cento degli aventi diritto al voto più uno, mentre il secondo sarà comunque valido a prescindere dal numero dei partecipanti. Il primo, infine, può mettere o meno in pericolo l'ambiente e il turismo, mentre il secondo mette in gioco la democrazia italiana per il futuro.

Tra le tante differenze è apparso, però, un evidente punto in comune: l'arroganza - anche non sono abituato a dare ragione a D'Alema - dell'attuale classe dirigente del PD. Sull’atteggiamento di Renzi e fedelissimi nei confronti del referendum costituzionale ho già scritto e ancora scriverò in futuro; adesso mi sembra importante vedere cosa sta succedendo in questi giorni, a poco più di un mese dal voto sulle trivellazioni, perché fa ulteriore luce sui concetti politici di Renzi.

In maniera almeno parzialmente inaspettata nei giorni scorsi è apparso un documento dell’Agcom che ha collocato il PD tra le forze politiche che si asterranno. Alcuni non ci volevano credere, altri si domandavano chi lo avesse deciso e come mai una scelta così importante non fosse stata annunciata dal PD stesso, ma apparisse, quasi di nascosto, in un documento dell’Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ha certificato quello che è venuto a galla nella riunione della Commissione di vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d'accesso alle tribune elettorali per il referendum.

A fare chiarezza (?) è arrivata, dopo qualche ora, una nota firmata non da Renzi, che mai ama esporsi subito in prima persona quando c’è odore di polemiche, bensì dai vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani che, dopo aver sostenuto che questo referendum è inutile e costoso, hanno aggiunto che non si poteva accorpare alle comunali (anche se la legge non contiene prescrizioni sulla possibilità di abbinare il referendum con le amministrative) e che a decidere per il no all’accorpamento era stato il ministero degli Interni. E poi hanno concluso: «I soldi per questo referendum potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all'ambiente. E di questo parleremo durante la direzione di lunedì, ratificando la decisione presa come vicesegretari». Un testo estremamente importante per capire sempre meglio Renzi e il renzismo.

Cominciamo dagli aspetti democratici del PD renziano (aspetti che sarà ancor più importante valutare a ottobre), mettendo in rilievo che è la prima volta che un partito sedicente di centrosinistra incita gli elettori a disertare un appuntamento democratico tra i più importanti. Mai era successo e, anzi, i partiti di cui il PD dice di aver raccolto – evidentemente in maniera indegna – l’eredità si erano sempre espressi esplicitamente e con decisione contro l’ispirazione antidemocratica di Craxi che aveva invitato gli elettori ad andare al mare piuttosto che rischiare di vedere affondare dal voto popolare le proprie decisioni parlamentari.

Non secondario, poi, sempre dal punto di vista della democrazia, il fatto che la scelta sia stata dichiaratamente fatta dai vicesegretari (anche se è molto difficile credere che Renzi non c’entri nulla) e che la direzione di lunedì sia chiamata soltanto ad annuire e a ratificare la decisione presa in maniera decisamente verticistica e, quindi, non particolarmente democratica.

Venendo alla sostanza del problema, appare curioso che i due vicesegretari definiscano «inutile» questo referendum, sia perché è stato ritenuto utile dalla Corte Costituzionale, sia perché a dare il via alla decisione della Consulta è stato proprio il PD inserendo, il 23 dicembre, all'interno della legge di Stabilità, all’indomani dell’accettazione da parte della Cassazione dei referendum sulle trivellazioni, un articolo che voleva rendere inutili alcuni dei sei quesiti proposti da nove Consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Ma la fretta è stata cattiva consigliera perché due decreti governativi firmati un giorno prima avevano reso inutile la legge di Stabilità per l’irlandese Petroceltic e per la britannica Rockhopper. La Petroceltic, in particolare, poteva effettuare ricerche entro le 12 miglia dalla costa per sei anni ancora pagando allo Stato italiano la bellezza di 1.900 euro (sì, proprio millenovecento euro) l’anno. E questa regalia ai petrolieri non mi pare sia compatibile con i rischi per l’economia sbandierati oggi con forza. Tacendo inoltre il fatto che l’economia da difendere è quella che già domina da sempre e non quella alternativa e più debole come il turismo ambientale.

Interessante, poi, la questione dei risparmi che virtuosamente i vicesegretari avrebbero sognato di distribuire «ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all'ambiente». Punto primo: senza le furbate della ministra Guidi (renziana di Confindustria) il referendum non si sarebbe fatto. Punto secondo: non abbinare il referendum alle comunali è stato scelto non dalla legge, ma dal ministro Alfano che di Renzi è immarcescibile sostenitore. Punto terzo: una volta che il referendum è fissato, il non andare a votare non fa risparmiare neppure un centesimo di euro.


Quindi, andate a votare. Votate pure come la vostra coscienza vi spinge a fare e come questa volta addirittura anche i vescovi spingono a fare, ma andate a votare comunque. Dimostrare che alla democrazia ci teniamo davvero è la più grande minaccia possibile per Renzi e per il suo governo.

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