L’articolo 138
della nostra Costituzione prescrive che «Le leggi di revisione della
Costituzione… sono adottate da ciascuna Camera con due successive
deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi…». A parte il fatto
che anche questo articolo poi dovrà essere cambiato perché le due Camere
non esisteranno più, almeno nel senso inteso dai padri costituenti che
non pensavano neppure lontanamente a una delle due Camere fatta
interamente da nominati e non da eletti, una particolare attenzione va
applicata a quell’«intervallo non minore di tre mesi». Si tratta,
infatti, di un esplicito richiamo alla necessità di una pausa di
riflessione poiché la materia è talmente complicata che si possono
rischiare, senza quasi accorgersene, di alterare equilibri delicatissimi
e di andare a toccare inconsapevolmente, ma inevitabilmente e nella
sostanza, altri articoli costituzionali, come il 138, appunto.
Ora, è evidente che Renzi non ha
alcun interesse a sollevare discussioni su un tema che per lui riveste
importanza soprattutto come affermazione personale anche e soprattutto
nel far vedere che lui riesce a fare in fretta ciò che altri non hanno
fatto. L’unica cosa che riesce a dire in questo periodo è sostenere che,
mentre prima, il suo nuovo testo non si poteva toccare perché era in
piedi il cosiddetto patto del Nazareno, ora non lo si può toccare anche
se non è più in piedi il patto del Nazareno. Quello che stupisce è il
silenzio degli altri che questionano, ogni tanto, su alcune cose, ma che
sui rischi che la Costituzione corre dicono davvero poco. E invece
sarebbe il caso di farlo subito perché il referendum confermativo per le
nuove leggi costituzionali esiste, se le maggioranze che le hanno
approvate non raggiungono i due terzi, ma quel referendum deve anche
essere richiesto «da un quinto dei membri di una Camera, o
cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali». E, oltre che
chiesto deve essere sostenuto con forza, perché il rischio che sta
correndo la nostra democrazia non è davvero di piccolo momento.
Inoltre, riassumo per sommi capi,
ricordando che, al di là della deleteria combinazione tra nuovo assetto
istituzionale del Senato e nuova legge elettorale, nel quadro di una
democrazia sempre più a rischio entrano di diritto altri possibili
cambiamenti voluti da Renzi che furbescamente non vanno a mutare il
testo della Costituzione, ma che comunque puntano a cambiarne
profondamente la sostanza.
Mi riferisco al Jobs Act che incide
sullo spirito sostanziale degli articoli dall’1 al 4 e dal 35 al 40
della nostra Carta fondamentale, ma in particolar modo dell’articolo 4
che parla di lavoro come diritto (sempre più negato), ma anche come
dovere per il «progresso materiale o spirituale della società» (sempre
più impedito).
E anche alla nuova legge sulla
responsabilità dei magistrati, approvata con i soli voti del partito di
Renzi, che non tocca gli articoli costituzionali riservati alla
magistratura, ma va a incidere pesantemente soprattutto sulla sostanza
degli articoli 104 e 105 e, quindi, sulla reale indipendenza di uno dei
poteri dello Stato, anche se la Carta parla di Ordine, ma specifica che
«è autonomo e indipendente da ogni altro potere».
Né su può dimenticare che Renzi dica
che «non sono politica, ma mercato» i tentativi di acquisizione da
parte di Mediaset, delle torri di Rai Way e dell’intero pacchetto
azionario della Rizzoli-Corriere della Sera che, se andassero a buon
fine, creerebbero un vulnus terribile alla sostanza dell’articolo 21,
quello che si occupa dell’informazione come base necessaria per ogni
democrazia.
Vediamo che sempre di più Renzi e i
suoi tentano di far coincidere il concetto di vittoria elettorale con
l’idea che il verbo “vincere” corrisponda al concetto di avere sempre
ragione per almeno cinque anni. E sentiamo parlare di Partito della
Nazione, una specie di pericolosissimo ossimoro che ricorda troppo quei
partiti nazionali che hanno firmato i più terribili avvenimenti del XX
secolo.
E non dimentichiamo mai che, mentre
con un’infinita serie di “canguri” e di “fiducie” si sono già svuotate
le due Camere di ogni potere reale, si ventila sempre più spesso di
stabilire per vie interne ai partiti quel “vincolo di mandato” che è
negato inequivocabilmente dall’articolo 67 della Costituzione: ormai,
infatti, è esplicito il richiamo a votare, al di là dei legittimi dubbi
di coscienza, solo ciò che è deciso dalla maggioranza del partito;
quindi dal suo vertice. Se questo diventasse reale, non ci sarebbe più
bisogno di un Parlamento, ma soltanto di una specie di snello consiglio
d’amministrazione legislativo – già vagheggiato a suo tempo da
Berlusconi per farsi risparmiare tempo e fastidi – in cui ogni capo di
partito porta con sé la quantità di voti parlamentari accumulati nelle
più recenti elezioni e chi alla fine – o, meglio, già prima dell’inizio –
ha più voti, con il premio di maggioranza ovviamente, vince.
È terrorizzante. Diamo pure atto a
Renzi di buona fede, ma non possiamo non pensare a come sarebbe l’Italia
di oggi se nel 1994 il Berlusconi vincitore delle elezioni avesse
trovato queste regole già in vigore. E a cosa potrebbe succedere in
futuro se qualche altro personaggio poco raccomandabile dovesse
conquistare Palazzo Chigi.
Non crediamo di avere tempo a
disposizione. Non possiamo limitarci ad assistere a questa fase di
grande pericolo. Dobbiamo opporci, resistere.
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