sabato 7 marzo 2015

Non c'è tempo

L’articolo 138 della nostra Costituzione prescrive che «Le leggi di revisione della Costituzione… sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi…». A parte il fatto che anche questo articolo poi dovrà essere cambiato perché le due Camere non esisteranno più, almeno nel senso inteso dai padri costituenti che non pensavano neppure lontanamente a una delle due Camere fatta interamente da nominati e non da eletti, una particolare attenzione va applicata a quell’«intervallo non minore di tre mesi». Si tratta, infatti, di un esplicito richiamo alla necessità di una pausa di riflessione poiché la materia è talmente complicata che si possono rischiare, senza quasi accorgersene, di alterare equilibri delicatissimi e di andare a toccare inconsapevolmente, ma inevitabilmente e nella sostanza, altri articoli costituzionali, come il 138, appunto. Ora, è evidente che Renzi non ha alcun interesse a sollevare discussioni su un tema che per lui riveste importanza soprattutto come affermazione personale anche e soprattutto nel far vedere che lui riesce a fare in fretta ciò che altri non hanno fatto. L’unica cosa che riesce a dire in questo periodo è sostenere che, mentre prima, il suo nuovo testo non si poteva toccare perché era in piedi il cosiddetto patto del Nazareno, ora non lo si può toccare anche se non è più in piedi il patto del Nazareno. Quello che stupisce è il silenzio degli altri che questionano, ogni tanto, su alcune cose, ma che sui rischi che la Costituzione corre dicono davvero poco. E invece sarebbe il caso di farlo subito perché il referendum confermativo per le nuove leggi costituzionali esiste, se le maggioranze che le hanno approvate non raggiungono i due terzi, ma quel referendum deve anche essere richiesto «da un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali». E, oltre che chiesto deve essere sostenuto con forza, perché il rischio che sta correndo la nostra democrazia non è davvero di piccolo momento.
Inoltre, riassumo per sommi capi, ricordando che, al di là della deleteria combinazione tra nuovo assetto istituzionale del Senato e nuova legge elettorale, nel quadro di una democrazia sempre più a rischio entrano di diritto altri possibili cambiamenti voluti da Renzi che furbescamente non vanno a mutare il testo della Costituzione, ma che comunque puntano a cambiarne profondamente la sostanza.
Mi riferisco al Jobs Act che incide sullo spirito sostanziale degli articoli dall’1 al 4 e dal 35 al 40 della nostra Carta fondamentale, ma in particolar modo dell’articolo 4 che parla di lavoro come diritto (sempre più negato), ma anche come dovere per il «progresso materiale o spirituale della società» (sempre più impedito).
E anche alla nuova legge sulla responsabilità dei magistrati, approvata con i soli voti del partito di Renzi, che non tocca gli articoli costituzionali riservati alla magistratura, ma va a incidere pesantemente soprattutto sulla sostanza degli articoli 104 e 105 e, quindi, sulla reale indipendenza di uno dei poteri dello Stato, anche se la Carta parla di Ordine, ma specifica che «è autonomo e indipendente da ogni altro potere».
Né su può dimenticare che Renzi dica che «non sono politica, ma mercato» i tentativi di acquisizione da parte di Mediaset, delle torri di Rai Way e dell’intero pacchetto azionario della Rizzoli-Corriere della Sera che, se andassero a buon fine, creerebbero un vulnus terribile alla sostanza dell’articolo 21, quello che si occupa dell’informazione come base necessaria per ogni democrazia.
Vediamo che sempre di più Renzi e i suoi tentano di far coincidere il concetto di vittoria elettorale con l’idea che il verbo “vincere” corrisponda al concetto di avere sempre ragione per almeno cinque anni. E sentiamo parlare di Partito della Nazione, una specie di pericolosissimo ossimoro che ricorda troppo quei partiti nazionali che hanno firmato i più terribili avvenimenti del XX secolo.
E non dimentichiamo mai che, mentre con un’infinita serie di “canguri” e di “fiducie” si sono già svuotate le due Camere di ogni potere reale, si ventila sempre più spesso di stabilire per vie interne ai partiti quel “vincolo di mandato” che è negato inequivocabilmente dall’articolo 67 della Costituzione: ormai, infatti, è esplicito il richiamo a votare, al di là dei legittimi dubbi di coscienza, solo ciò che è deciso dalla maggioranza del partito; quindi dal suo vertice. Se questo diventasse reale, non ci sarebbe più bisogno di un Parlamento, ma soltanto di una specie di snello consiglio d’amministrazione legislativo – già vagheggiato a suo tempo da Berlusconi per farsi risparmiare tempo e fastidi – in cui ogni capo di partito porta con sé la quantità di voti parlamentari accumulati nelle più recenti elezioni e chi alla fine – o, meglio, già prima dell’inizio – ha più voti, con il premio di maggioranza ovviamente, vince.
È terrorizzante. Diamo pure atto a Renzi di buona fede, ma non possiamo non pensare a come sarebbe l’Italia di oggi se nel 1994 il Berlusconi vincitore delle elezioni avesse trovato queste regole già in vigore. E a cosa potrebbe succedere in futuro se qualche altro personaggio poco raccomandabile dovesse conquistare Palazzo Chigi.
Non crediamo di avere tempo a disposizione. Non possiamo limitarci ad assistere a questa fase di grande pericolo. Dobbiamo opporci, resistere.

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