lunedì 16 marzo 2015

Il futuro delle ideologie

Che Felice Casson, dichiaratamente di sinistra, abbia sconfitto due candidati renziani alle primarie per le comunali di Venezia ha un grande significato, anche perché lo ha fatto con il 55,6%: il che vuol dire che avrebbe vinto anche se gli altri due non si fossero parzialmente elisi a vicenda. Ritengo, infatti, che il messaggio che arriva dalla laguna vada ben oltre l’ambito comunale al quale si riferisce, ma che si estenda all’intero panorama nazionale come momento in cui può prendere corpo una svolta auspicata da tantissimi di coloro che avevano il PD come punto di riferimento come catalizzatore delle forze di sinistra e di quelli che se ne erano allontanati in quanto non sentivano più quel partito come casa loro.
 
Al di là del grande significato del rifiuto della corruzione dato al voto pro Casson, da Venezia – se si combina quel risultato con la “Coalizione sociale” di Landini e con altre iniziative simili, già da tempo partite, come, nella nostra regione, “Officina 2.0 – arriva un segnale netto del fatto che finalmente sta riprendendo forza non il fascino delle persone, ma l’idea politica che le anima.

Nel luglio del 2008, nella serie di incontri che avevo organizzato per il Mittelfest targato Moni Ovadia, ho introdotto e gestito un incontro tra il senatore Mino Martinazzoli, l’uomo che ha sciolto la DC e ha fondato il PPI, e il professor Natalino Irti, giurista che aveva da poco scritto uno splendido libro: “La tenaglia – In difesa dell’ideologia politica”.
 

Nell’introduzione avevo detto che il crollo del muro di Berlino aveva trascinato con sé nella caduta molte cose brutte ma anche alcune cose belle e di valore: aveva tolto, per esempio, alla politica il passato e il futuro perché aveva trascinato con sé non soltanto l’ideologia che rappresentava ma anche tutte le altre, tranne quelle del liberismo e del razzismo che ideologie non sono, ma semplici applicazioni pratiche del concetto di egoismo alla società umana.

Guardiamo a cos’è successo: dopo il muro, per un lungo periodo quasi tutti hanno buttato via, almeno per una certa parte, i loro valori. Lo hanno fatto i comunisti, i socialisti, i cattolici, i liberali e persino i fascisti, anche se, per me, la parola “valori” in questo caso andrebbe sostituita con qualcos’altro. Li hanno buttati via illudendosi che senza valori ci si sarebbe potuti avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione verso un posto indistinto e ritenuto vincente che per molti per comodità chiamano centro; che però è molto diverso dal centro di una volta perché anche il centro di una volta aveva i suoi valori, mentre adesso è, appunto, una cosa indistinta e vive il giorno per giorno e non quella pulsione verso una meta che invece esisteva prima. E molti si sono avvicinati facendo ressa tutti insieme, cercando di farsi belli e attrarre simpatie, facendosi vedere simili a quelli che in quel momento stavano vincendo. Ma non sono riusciti ad attrarre nessuno perché il vuoto non attrae mai nessuno, ma, anzi, dà un senso di repulsione. Il risultato è che sempre meno gente si è avvicinata al voto e alla politica, alla partecipazione al vivere sociale. E contemporaneamente chi ha fatto così non si è sentito più vicino agli avversari di una volta perché sono rimasti completamente estranei. Ma contemporaneamente hanno perduto molti amici perché senza valori non li riconoscevano più, né da loro erano riconosciuti. E, in molti casi, hanno perso anche il rispetto di sé stessi e, per recuperarlo, si sono allontanati da qualsiasi cosa avesse attinenza con la politica.

Ora molti temono la nascita di un nuovo partitino. Ma non si tratta di questo: si tratta di voler avere nuovamente un partito di sinistra e se sarà ancora il PD, ma depurato dal renzismo, che di sinistra non è, sarà più che ben accetto.
 

Quell’incontro del 2008 era intitolato “Il futuro delle ideologie” e oggi, finalmente, quel futuro sembra avvicinarsi: non sarà importante il nome dell’ideologia, ma il contenuto che deve basarsi sulla difesa dei diritti conquistati con sangue e fatica da chi ci ha preceduto, sull’intransigenza davanti a qualsiasi cosa metta a repentaglio la democrazia, sull’uguaglianza, sulla solidarietà e sulla ricerca di partecipazione – reale e non soltanto formale – di tutti. Poi chiamatela pure come volete.

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