C’è una sola
cosa in cui Pierpaolo Suber – una vita attiva all’interno della sinistra
e coordinatore del Forum cittadino Territorio e Ambiente di Udine –
sbaglia, nell’annunciare la sua decisione di lasciare il Partito
Democratico: quella di definirla una “notizia piccola”. Piccola può
sembrare soltanto a chi ha interesse a sminuirla per poi tentare di
nasconderla come la polvere sotto il tappeto, ma è invece molto grande
perché riguarda tantissima gente che non si sente più bene all’interno
del PD e anche moltissimi di coloro che non escono dal PD soltanto
perché prima non ci sono mai entrati, ma che hanno votato quasi sempre
per quel simbolo e che ora non si sentono più di farlo.
Ed è molto grande anche perché va a
mettere, con grande limpidezza e lucidità, il dito sulle piaghe maggiori
che stanno consumando il corpo del partito che era quello di
riferimento per la maggior parte della sinistra italiana e che ora,
viaggiando strettamente a braccetto con un pregiudicato iscritto alla
P2, non soltanto si è spostato sensibilmente a destra, ma ha fatto
stomacare quei tantissimi che continuano a ritenere che la questione
morale sia fondamentale, anche perché è proprio la crisi dell’etica che è
alla base, grazie a corruzione, malavita più o meno organizzata,
evasione fiscale, insensibilità o connivenza di parte delle istituzioni e
della politica, della crisi economica nella quale siamo immersi.
Suber, infatti, non soltanto punta
il dito contro la “inaudita gravità” dei fatti liguri e “l’indecente
comportamento” nei confronti di Sergio Cofferati, ma si sofferma,
invece, sui rischi di un’uscita dalla democrazia parlamentare che si
profila sempre più netta mentre anche l’opposizione interna al partito
si aggrappa a emendamenti su aspetti secondari, e non avversa lo
stravolgimento della rappresentanza, l’affievolirsi sempre più netto del
rapporto tra politica e cittadini, che vengono chiamati in causa
soltanto per deporre il voto nelle urne e poi non possono più parlare;
né si oppone allo stravolgimento costituzionale che permetterebbe al
vincitore di fare il bello e il cattivo tempo per un intero mandato
parlamentare, sempre che in quei cinque anni non cambi le cose per
prolungare indefinitamente quel periodo.
Suber cita “Qualcuno era comunista”
di Giorgio Gaber per far capire perché aveva aderito a quel partito e
l’accento struggente di quel testo sembra far indulgere a sentimenti di
malinconia, se non di rassegnazione. Ma quei valori di solidarietà e di
spinta all’utopia non possono essere scomparsi, non possono essere stati
soffocati neppure dal duetto Berlusconi-Renzi. Si tratta non di farli
rivivere, perché non sono mai morti, ma di farli tornare a galla e di
riprendere a combattere democraticamente ricordando che il peccato più
grave di cui un uomo si possa macchiare è quello di omissione, perché è
l’unico sicuramente deliberato, perché antepone l’interesse personale a
quello generale, perché per piccini desideri di tranquillità può
spalancare la strada a enormi disastri.
In questi tempi si è discusso spesso
se era più giusto entrare in massa nel PD per cambiarlo dall’interno, o
organizzare qualcosa che tentasse di cambiarlo dall’esterno. Pierpaolo
Suber, che l’interno di quel partito conosce molto bene, ha scelto la
seconda strada. E questa non è davvero una “notizia piccola”.
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