martedì 20 gennaio 2015

Il peso delle parole

Fulminante la vignetta odierna di Bucchi su Repubblica. Dal solito profilo umano, abbastanza indistinto, si alza un pensiero: «Per cambiare il mondo si aspetta il momento in cui uno solo possiederà tutto». Mi è difficile non pensare che non si riferisca all’odierna situazione italiana nella quale ormai chi ha la responsabilità di governo non si accontenta di operare con la maggioranza di cui dispone, ma che vuole avere la certezza che questa maggioranza sia invulnerabile e, anzi debba essere allargata fino a comprendere proprio tutti, e ubbidienti; che non accetta alcun segno di dissenso, anche se questo dissenso non nasconde un’inimicizia di base, ma soltanto un disaccordo sulle cose che possano far davvero bene al nostro Paese. E, quindi, visto che un punto basilare della natura umana è rappresentato dal fatto che nessuno ha sempre ragione, il disaccordo è sempre e soltanto una forte sollecitazione a discutere sul serio e non a far finta di discutere avvertendo fin dall’inizio: «Dite pure quel che volete, ma tanto poi si fa quello che dico io perché ho i numeri». Salvo, quando questi numeri cominciano a vacillare, subire crisi che portano a pronunciare frasi che non appartengono certamente al repertorio di uno statista propriamente detto. 

Ripercorriamo alcune di quelle dette ieri da Renzi: «La minoranza del Pd punta a votare una legge elettorale contro di me e contro il partito. Mi vogliono accoltellare, questa è la verità». Una legge elettorale contro di me? Ma allora la legge elettorale non deve tendere alla realizzazione di una democrazia compiuta, ma deve favorire una parte per sfavorire un’altra? E, poi, accoltellare? Questo verbo fa presupporre un attacco a tradimento mentre la tanto vituperata “minoranza del PD” sta dicendo quello che pensa da mesi e mesi, senza nascondere nulla, senza comperare voti e senza chiedere aiuti al centrodestra. Altro che attacco a tradimento: è una ricerca di confronto mai accettato davvero.

Altra frase: «Non mi spavento certo di Gotor». E prosegue: «È chiaro che se passano le loro modifiche, io vengo sfregiato. Poi però si va a votare. Anche con il Consultellum». In politica a spaventare non dovrebbero essere le persone, ma, eventualmente, le idee e Renzi alle idee altrui non fa mai riferimento. Il problema è che teme di essere “sfregiato” lui stesso identificandosi, evidentemente, con il partito di cui è segretario, ma che non corrisponde più a quello al quale inizialmente si era iscritto. 

E ancora: «Hanno avuto un sacco di roba: i ballottaggio, il premio alla lista, le preferenze. Se il Pd vince avrà solo il 30 per cento di nominati». A parte il fatto che su queste tre “robe avute” ci sarebbe da discutere, ma “hanno avuto” chi? Nel mondo evocato da Renzi, sembra che sia lui a elargire oboli a questuanti che chiedono cose che servano a loro e non alla comunità. Nella visione delle cose renziana sembra non esistere assolutamente il concetto democratico secondo il quale idee diverse si confrontano alla ricerca del compromesso più vicino possibile al bene comune e poi, se proprio non si riesce a trovare un accordo, si va a votare, ma per le proprie idee e non per quello che dice il “capo”.

Però la storia insegna che, anche se alla lunga, il peso della sostanza delle parole è sempre superiore a quello delle minacce.

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