La decisione di
Sergio Cofferati di uscire dal PD, partito di cui è tra i fondatori, non
è cosa che possa lasciare indifferenti e può anche costituire un punto
di snodo fondamentale nelle vicende politiche italiane perché è una
spinta decisa, se non decisiva, verso una chiarificazione della reale
collocazione politica del partito che era erede di parte della sinistra
italiana e che si è spostato sempre di più verso il centrodestra.
Della squallida vicenda delle
primarie liguri è praticamente inutile parlare: tutti noi abbiamo visto
personalmente, nelle primarie alle quali abbiamo partecipato, quante
persone di indubbia fede di centrodestra siano andate a inquinare le
elezioni interne del centrosinistra. E inquinare è la parola esatta in
quanto il centrodestra ha decisamente spostato verso se stessa la barra
di un timone politico che non è più diretto nel verso in cui – pur
faticosamente e con reciproci sacrifici – era stato fissato da donne e
uomini dei DS e della Margherita.
È importante parlare, invece, di
come questa vicenda sia stata vissuta nel PD. Lasciamo pur perdere la
grande arroganza e la scarsissima profondità politica dimostrate dalla
“vincitrice” Paita, sempre e comunque sorridente, come renzismo comanda,
anche davanti alle accuse più nefande. E, in definitiva, non stupisce
neppure che la vicenda sia finita – e con non eccessivo rilievo – nelle
pagine interne dei quotidiani: intanto perché giustamente i fatti
avvenuti in Francia meritavano lo spazio maggiore e più importante, ma
un po’ anche in quanto ormai le polemiche sulle primarie del PD sono
diventate una costante e, quindi, non fanno più tanta notizia.
Quello su cui è invece doveroso
soffermarsi è il silenzio all’interno del PD: da parte della maggioranza
perché certe nefandezze, quando si vince in quel modo, è meglio
lasciarle sfumare con il passare del tempo; dall’altra parte perché
nella minoranza del partito di Renzi c’è una sorta di rassegnazione con
cui vengono accolti e accettati imbrogli e soprusi.
Credo che oggi, mentre Cofferati decide di andarsene sbattendo la porta,
sia fondamentale analizzare meglio la frase di Pierluigi Bersani: «Io
non me ne vado perché questa è casa mia». Chi è nel giusto? O, forse,
entrambi sono nel giusto, ma seguono strategie diverse? Insomma, quando
un Paese viene invaso da truppe straniere continua a essere la propria
casa, come dice Bersani, oppure diventa – si spera temporaneamente – una
casa altrui, come fa capire Cofferati?
Credo che l’importante non sia dare
una risposta a questo quesito, ma, come più volte ha insegnato la
storia, che sia necessario mettersi di fronte al problema di come
riconquistare la propria casa: se facendo resistenza all’interno, oppure
conducendo una battaglia di liberazione dall’esterno. Entrambe le
soluzioni possono essere percorribili, ma richiedono determinazione,
sacrificio e pazienza.
Per il successo di entrambe, però
sono necessari almeno due presupposti: il primo consiste nell’essere
convinti che la sinistra abbia diritto a un proprio spazio (a
prescindere se vincente, o perdente) nel quale cercare di sviluppare i
propri valori; il secondo è far capire a tutti che quello che viene
definito, soprattutto da interessati esponenti di destra, come un
partito di sinistra, non è più nemmeno lontanamente tale, anche a
prescindere dai reiterati tentativi di regali da fare a Berlusconi.
Insomma, la resistenza, che sia
dall’interno, o dall’esterno, ha bisogno di basarsi su una questione
morale che, oltre che guardare ai tanti problemi irrisolti dal punto di
vista delle illecite commistioni tra politica ed economia, metta in
primo piano anche l’uso onesto del vocabolario, la trasparenza nelle
proprie intenzioni davanti all’elettorato e la necessità di cancellare
quei modelli pessimi di comportano che sono diventati ormai frequenti
nelle consultazioni elettorali e sui quali, in alto loco, si preferisce
fare silenzio.
Tutti dovrebbero ricordare che è
importante far vincere un partito che porti i propri ideali, e non far
vincere un partito che continui a usare il medesimo nome, ma che porti
ideali opposti.
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