Il Jobs Act è
legge. E chi l’ha voluto continua a ripetere questa frase come un mantra
in tutte le interviste, in tutte le trasmissioni, come se questa frase
potesse diventare garanzia che una legge, pur approvata a colpi di
fiducia, è anche una buona legge. Come se la gente potesse dimenticarsi
che tra le “buone leggi” ci sono stati anche, soltanto per fare due
esempi, la Cirielli e il Porcellum, che si sono confermate due veri e
propri cancri per il nostro Paese e che ancora adesso non è possibile
consegnare completamente alla storia degli errori, o, meglio, delle
mascalzonate deliberatamente volute.
Anche il Jobs Act è un abominio e i
suoi frutti avvelenati si assaggeranno, purtroppo, in breve tempo perché
l’unico effetto certo della sua pur ancora approssimativa formulazione
sarà quello di dilatare ulteriormente l’abisso che sempre più divide i
ricchi dai poveri e di cancellare ancora gran parte del residuo di
quella che le memorie storiche ricordano come “classe media”.
Né può far sperare in qualcosa di
buono il fatto che il ddl contiene cinque deleghe su ammortizzatori
sociali, politiche attive, semplificazioni, riordino dei contratti e
agevolazioni per la conciliazione vita-lavoro, i cui decreti delegati
dovranno essere emanati entro sei mesi. La disponibilità economica è
così esigua e l’impianto è tale che si possono prevedere soltanto
peggioramenti . Almeno dal punto di vista dei lavoratori che, infatti,
protestano, mentre gli imprenditori sono visibilmente soddisfatti.
Eppure è da tempo che si dice che
già il nome di questa legge, volutamente espresso in inglese per
dissimularne lo spirito, faceva capire la china sulla quale ci si stava
dirigendo. Jobs Act, infatti, in italiano va tradotto come “Legge del
lavoro”, e va a cancellare parti importanti dello “Statuto dei
lavoratori”. Dall’attenzione ai diritti dei lavoratori, si torna,
insomma a collocare al primo posto dell’attenzione il lavoro e i
cosiddetti investitori. E tutto questo continuano a spacciarlo come
intervento di sinistra.
L’unica continuità di questi ultimi
decenni è la presa in giro degli elettori che, però, in numero sempre
maggiore se ne sta rendendo conto e, sbagliando, non torna più alle
urne. L’unica cosa davvero di sinistra sarebbe far riavvicinare la gente
alla politica e ascoltare i suoi bisogni. Prima o poi qualcuno lo farà,
la gente tornerà a votare, con convinzione, per qualcuno e questi
ultimi decenni finiranno finalmente nell’armadio dei brutti ricordi
assieme all’accettazione – come ha scritto Eyal Weizmann – che «il male
minore costituisca il nuovo nome della nostra barbarie».
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