Il problema è sempre quello, fin
da prima che don Lorenzo Milani lo codificasse dicendo che «l'operaio conosce
300 parole, il padrone 1000; per questo lui è il padrone». E continuerà per
sempre così fino a quando, con l’istruzione e con la diffusione della cultura,
non saranno dotati tutti di un vocabolario di pari estensione. Innalzando le
capacità dell’operaio, ovviamente, e non calando quella del padrone. Agendo,
insomma, in maniera opposta a quella che sta portando avanti il nostro governo
in materia di diritti, e cioè tentando di rendere tutti uguali togliendo
diritti a quei pochi che li hanno già.
Adesso a sfruttare gli equivoci
sulle parole ci si mette anche mister John R. Phillips, ambasciatore degli
Stati Uniti in Italia, che dichiara che l’Italia può farcela a uscire dalla
crisi, a meno che il sistema politico italiano non resti «troppo rigido, troppo
diviso tra gruppi di interessi». E qui tutti fanno cenno di sì con il capo
perché il concetto di «gruppi di interesse» fa inevitabilmente venire in mente
delle confraternite di potere che sono state capaci di indirizzare la politica
italiana lungo la discesa che ci ha portato sull’orlo del baratro; che ha spinto,
soltanto per fare un esempio, a distruggere il sistema del trasporto pubblico,
e soprattutto quello ferroviario, a favore dell’industria automobilistica e di
chi la possedeva.
E a nessuno viene in testa che
tra i «gruppi di interesse», possono esserci anche quelle associazioni – più o
meno codificate – che vorrebbero che i più poveri non morissero di fame; o che
i diseredati potessero mantenere almeno un po’ di dignità; che anche i malati poveri
potessero essere curati come quelli ricchi e non dovessero evitare alcuni esami
perché non possono permettersi il ticket; che i ragazzi delle scuole pubbliche
avessero aule decenti come quelli delle scuole private; che i cinquantenni disoccupati
loro malgrado potessero ancora avere una speranza di vita; che i giovani italiani
non dovessero andare all’estero per trovare uno straccio di lavoro. Sì. Anche
questi sono «gruppi di interesse». Eppure sono convinto che a questi gruppi di
interesse sarebbe del tutto onorevole dare una mano.
Mister John R. Phillips, insomma,
dovrebbe ricordare che alcuni «gruppi di interesse» italiani sono spesso
soltanto «gruppi di sopravvivenza» e, quindi, molto diversi dalle lobby
statunitensi e dalle “cupole” italiane. Su una cosa della da Philipps, però
sono assolutamente d’accordo: quando lui, che lo conosce da cinque anni (curioso:
da ben prima che diventasse presidente del Consiglio), afferma che Matteo Renzi
gli ricorda Ronald Reagan.
E, per restare a casa nostra, non
mi stancherò mai di ripetere che il giochino con cui Renzi accusa la sinistra
di essere conservatrice è puerile, se non del tutto stupido. Renzi, infatti,
appiccica alla sinistra l’appellativo di “conservatori” riservando a se stesso
e ai suoi quello di “riformatori”. Io, invece a Renzi e ai suoi appiccicherei
il titolo di “restauratori”. Provate a pensarci: davanti al tentativo di
reintrodurre alcune forme di schiavitù, dando per accettato che chi vuole
mantenere la libertà conquistata possa essere chiamato “conservatore”, vi
rivolgereste a chi questa libertà la vuole limitare chiamandolo “riformatore”,
o “restauratore”?
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