martedì 22 luglio 2014

Razzismo e disprezzo

A me piacerebbe davvero che qualcuno, a livello istituzionale, rispondesse in maniera chiara a una semplice domanda: perché gli esponenti della Lega Nord possono infischiarsene tranquillamente della legge fondamentale della nostra Repubblica, la Costituzione, e non subire alcuna conseguenza?
Se un privato cittadino facesse le medesime cose senza indossare camicie, cravatte, coccarde o fazzoletti verdi, subirebbe giustamente delle conseguenze sia sul piano penale, sia dal punto di vista del disprezzo generale nei suoi confronti. Perché il razzismo è condannato dalla legge, ma anche dalla pubblica morale.
E che la Lega sia razzista non è soltanto il caso di ripeterlo. È giunto il momento di urlarlo, di scriverlo, di non permettere che alcuni possano far finta di non accorgersene. Anche se Maroni nega spudoratamente che il suo sia razzismo, anche se alcuni del centrodestra hanno l’improntitudine di accusare Franceschini e altri di seminare odio perché dicono giustamente che l’Italia sta tornando verso le leggi razziali.
Nell’articolo 3 della Costituzione è scritto che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e Matteo Salvini, parlamentare leghista e capogruppo del Carroccio nel consiglio comunale di Milano, parlando della metropolitana, dice: «Prima c’erano i posti riservati agli invalidi, agli anziani, alle donne incinte: adesso si può pensare a posti, o a vagoni, riservati ai milanesi».  Come pretendevano i bianchi nell’Alabama prima degli anni Sessanta.
Nell’articolo 10 della Carta fondamentale si legge: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». E il ministro Roberto Maroni, leghista, rifiuta di soccorrere i barconi carichi di disperati, li fa respingere in Libia senza neppure accertare se i 227 migranti avevano il diritto di chiedere asilo. L’Onu protesta violentemente nei confronti dell’Italia, ma lui fa spallucce e parla di «trionfo»: la xenofobia sua e di coloro che lo hanno votato è pienamente soddisfatta.
I leghisti esultano; una parte dei loro alleati è seriamente imbarazzata, ma evita di superare certi livelli di protesta perché non hanno la minima intenzione mettere a rischio una maggioranza che, nonostante i numeri, deve ricorrere alla fiducia palese per non rischiare di essere sconfitta in certe votazioni parlamentari. E la minoranza, dal canto suo, proprio perché la maggioranza si blinda quando teme di vacillare, può fare ben poco in Parlamento.
Allora bisogna rassegnarsi a vivere in un Paese sempre più razzista, limitandosi a fare battutine sdegnose su come si potrà distinguere un milanese dagli altri, o a sperare fantasiosamente che l’Onu possa avere maggiori strumenti di pressione? Io credo di no. Sono convinto che con la testimonianza e con l’impegno personale si possa far qualcosa, magari dimostrando esplicitamente il disprezzo che si prova – se lo si prova – nei confronti di coloro che si comportano in maniera razzista, xenofoba, aliofoba. Esattamente come faremmo nei confronti di tutti i razzismi che ormai la storia ha battezzato definitivamente come tali.
Personalmente mi impegno a non partecipare più – se non per obblighi cronistici – ad alcuna manifestazione in cui sia presente un leghista e a spiegare esplicitamente i motivi della mia assenza.
Io non posseggo certezze assolute e non so dire se questa mia decisione sia perfettamente in linea con le regole democratiche che impongono di ascoltare tutti (ma credo che il pensiero leghista sia già sufficientemente chiaro, e da molto tempo) e non so neppure se questa mia scelta – ammesso che fosse praticata anche da tanti altri – potrebbe essere utile nel far allontanare la gente da quel partito, o, se per reazione, potrebbe addirittura rinsaldarlo. So soltanto che è giusto nei confronti della mia coscienza.
La colpa che mi faccio è quella di averlo detto in forte ritardo.

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