martedì 22 luglio 2014

PD 2 - Libertà è partecipazione

«Libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber in una delle sue tante illuminazioni in musica. E, a maggior ragione, anche democrazia deve essere partecipazione. Quindi per il Partito Democratico la parola “partecipazione” dovrebbe essere al centro di tutta la sua attività. Esattamente come è totalmente al di fuori della filosofia berlusconiana che vuole impedire di partecipare al divenire della res publica anche a coloro che devono farlo per professione, come i giornalisti. Oltre che ai commissari e ai portavoce dell’Unione Europea.
Ma allora andiamo a vedere cosa significa questa benedetta parola, vista con sospetto da alcuni e con grande aspettativa da altri, che, come moltissime altre parole è stata dapprima usata impropriamente e poi travisata e violentata fino a farle perdere il significato originale. In politica, per esempio, il significato di partecipazione si è smagrito tanto da essere identificato esclusivamente con l’azione del voto. Di più, no: diventa fastidiosa ingerenza. A dire il vero sono pochi i politici a definire così la voglia di parziale partecipazione dei non iscritti alla vita dei partiti, ma sembrano essere ancora di meno coloro che non lo pensano.
Un esempio evidente di ciò è stato quello dei movimenti: corteggiati e portati in palma di mano fino a quando sono stati utili a fini elettorali e poi velocemente messi in un angolo, se non addirittura criminalizzati. E questa potrebbe essere stata una delle cause della disaffezione di tanta gente che ha partecipato con entusiasmo a quella stagione di protesta e poi un po’ alla volta si è allontanata anche dal voto.
Ovviamente nessuno intende mettere in dubbio la validità della democrazia rappresentativa, ma il problema consiste nel fatto che la delega è data agli eletti, non a coloro che scelgono quali saranno i programmi e chi si candiderà. O più chiaramente: tutti possono partecipare alle elezioni, ma alle riunioni preparatorie possono prendere parte soltanto coloro che hanno ricevuto deleghe dagli iscritti ai partiti. Quindi, per ovviare a questa naturale esclusione serve una democrazia partecipativa almeno nella prima fase della democrazia rappresentativa.
Sarà fastidioso, ma se il Pd vuole davvero radicarsi tra la gente, non potrà sottrarsi a questa incombenza, aprendosi un po’ anche ai non iscritti perché non occorre necessariamente partecipare alla decisione; ma alla discussione, alla costruzione di un programma, sì. Perché nel momento in cui discuti, nel momento in cui dimostri che le tue idee hanno valore, partecipi già alla decisione finale. Sempre ammesso che dall’altra parte ci sia la disponibilità ad accettare le ragioni altrui, perché altrimenti la mancanza di partecipazione è contemporaneamente sintomo e conseguenza della paura delle idee altrui. Cosa impossibile nella sinistra propriamente detta perché, come scrive Krippendorff ne L’arte di non essere governati, «il principio di insoddisfazione costituisce la vera e propria fonte di energia della sinistra».
Ci sono le primarie, dicono, ma anche sulle primarie occorre fare un minimo di riflessione.

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