venerdì 13 giugno 2014

Dodici milioni meno uno

L’epurazione di Vannino Chiti e di Corradino Mineo dalla commissione Affari Costituzionali, decisa dal vertice del PD è una di quelle storiacce che in politica lasciano il segno, non soltanto per i fatti in sé e per la conseguente autosospensione di 14 senatori dem, ma anche e soprattutto per i commenti che ne sono seguiti. Ne cito alcuni. Il sottosegretario Luca Lotti: «Credo che 10 senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori». La ministra per le Riforme Maria Elena Boschi: «Nessuno ha chiesto loro di autosospendersi. Dovranno essere loro a decidere se far parte del processo di riforme, o fare una scelta diversa». Renzi: «Un partito non è un taxi che uno prende per farsi eleggere». Renzi: «Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme».

Nel malessere generale che attraversa il partito e nel compiaciuto silenzio di altri, l’unica voce decisamente a favore del provvedimento contro Chiti e Mineo arriva dai grillini, quelli che hanno deciso di allearsi in Europa con la destra razzista di Farange, che sanno benissimo che, se non si adeguano al volere del capo, vengono espulsi.

A questo punto, però, va chiarito che il problema attuale mette in secondo piano quello originale (Senato elettivo, oppure no?), perché la questione ormai riguarda soprattutto la democrazia all’interno di un Partito che si fa chiamare Democratico, la democrazia in generale di questo nostro Paese e il diritto di opinione e di parola che vale per tutti, ma che è ulteriormente specificato e arricchito per deputati e senatori dall’articolo 67 della Costituzione: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

A parte il risibile fatto di tentare di esagerare cifre che non ne hanno assolutamente bisogno (i voti sono 11 milioni e 200 mila e non 12 milioni e gli autosospesi sono 14 e non 10), la prima cosa da mettere in rilievo è che continua il tentativo di appropriazione indebita da parte del premier di quei voti ottenuti dal PD non per stima nei confronti di Renzi, ma per timore del sorpasso di Grillo, oppure, in prospettiva europea, nella speranza di veder andare Schultz a capo della Commissione.

Poi è vero che un partito non è un taxi da usare per farsi eleggere, ma va ricordato, al di là dell’articolo 67, che quando Mineo e Chiti sono stati eletti quel taxi era guidato da Bersani e che il nuovo guidatore e la nuova meta sono stati decisi a corsa già iniziata e che la legittimazione popolare, pur indiretta, è arrivata sempre in corsa.

Ma soprattutto è incontrovertibile che nessuno di noi cittadini ha diritto di veto, ma è altrettanto vero che tutti abbiamo diritto di voto. E allora mi chiedo: quanti saranno coloro – soprattutto tra quelli che sono malati di democrazia e credono nell’unità del centrosinistra – che dicono e diranno: «Dodici milioni di voti? Adesso, meno uno.»?

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