sabato 2 febbraio 2013

L’autonomia è partecipazione

I cinquant’anni dello statuto di autonomia del Friuli Venezia Giulia inducono ad alcune riflessioni sul presente, soprattutto rapportandole al fatto che Renzo Tondo, presidente regionale uscente, dice che Roma «mortifica la nostra autonomia» e ricordando che di quella continua collaborazione esistente ai tempi di Illy e di Prodi non si è più trovata traccia nel rapporto tra Tondo e Berlusconi.
Credo che per analizzare il problema occorra dapprima ridare confini precisi al concetto di autonomia perché è evidente che nel 1963 l’autonomia non è certamente stata concessa perché in questa regione moltissimi parlano in una lingua ladina e hanno storia e tradizioni particolari. Le motivazioni vanno trovate, invece, nella geografia, che pone la nostra regione all’estremo angolo nordorientale dell’Italia, e nella storia che ha fatto nascere la Regione quando l’Est con cui noi confiniamo non aveva soltanto significati geografici, ma soprattutto politici.
Vista la caduta dei regimi comunisti e poi anche quella delle frontiere, alcuni hanno pensato che l’autonomia fosse soltanto una parola da sbandierare per lamentare la mancanza di aiuti e di privilegi. Ma non è così perché - se ci pensate - da sempre le frontiere non hanno soltanto indicato divisioni nazionali e culturali, ma hanno anche rappresentato i punti di contatto tra queste diversità postulando un’osmosi fatta di dialogo e di reciproco arricchimento. E poi hanno continuato a evolversi su questa strada trasformandosi da confini che dividevano a linee che uniscono i diversi.
È in questo senso che bisognerebbe muoversi; è in questo senso che si dovrebbe capire che ancora una volta non è il Friuli Venezia Giulia ad avere bisogno di Roma, ma Roma ad avere bisogno di questa regione; o, meglio, che Stato e Regione sono entità che proprio sull’autonomia della seconda possono trarre reciproco vantaggio. Ed è, appunto, su un piano di reciprocità che è necessario riprendere a camminare dopo la cesura che si è verificata in quest’ultimo quinquennio per disinteresse di che governava a Roma e per scarsa autonomia politica personale di chi a Trieste doveva valorizzare l’autonomia regionale. Il patto siglato tra Bersani e Serracchiani fa ben sperare che la direzione di marcia finalmente torni a essere quella giusta.
Dico “valorizzare” e non “difendere” l’autonomia regionale perché questa, se ben sfruttata in un necessario sforzo di internazionalizzazione e di europeizzazione, diventa una ricchezza per tutti.
Insomma, l’autonomia non può e non deve essere isolamento e neppure lamentosa opposizione. L’autonomia, per dirla con Giorgio Gaber, deve essere partecipazione.

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