domenica 17 giugno 2012

Poteri forti e antipolitica

Mario Monti non ha mai amato parlare, al di là delle occasioni obbligate ancor prima che ufficiali. E anche in quelle occasioni ha accettato di parlare, ma ha preferito non dire. Se nel messaggio all’Acri, che associa le Fondazioni di origine bancaria, ha strappato da questa sua abitudine di evitare di entrare nella sostanza dei problemi, allora vuol dire che qualcosa davvero sta accadendo e che con tutta probabilità non si tratta di nulla di piacevole.
Tra le tante cose ha detto: «L'Italia ha attraversato momenti difficili che purtroppo non sono dietro le spalle», e questo era francamente scontato. Poi ha affermato: «Non posso negare che avremmo potuto fare di più e meglio», e anche questa frase non desta eccessiva sorpresa visto che arriva da uno che non fa il politico di professione e che, quindi, non è preoccupatissimo di farsi rieleggere.
Ma sono due le espressioni sulle quali merita soffermarsi: «Il mio governo e io - ha detto Monti - abbiamo sicuramente perso negli ultimi tempi l'appoggio che gli osservatori ci attribuivano da parte dei cosiddetti poteri forti» e «La riforma della semplificazione e del lavoro sono state sottovalutate dal mondo dell'impresa. Penso alla riforme della pensioni».
Bene, quella dei poteri forti è davvero sorprendente: è una vita che sentiamo chi sta ai vertici dello Stato affermare che i poteri forti non esistono; e, allora, due domande. La prima: vogliamo per favore identificarli con nome e cognome, o almeno con la ragione sociale? La seconda: i poteri forti andavano bene a Monti fino a quando sostenevano il suo governo e diventano pericolosi soltanto adesso?
Noi siamo sempre stati convinti che in una repubblica che all’articolo 1 della sua Carta fondamentale recita «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», l’unico potere forte ammissibile sia quello che deriva dalle scelte del popolo. Non è che oltre che la politica, anche la tecnocrazia si faccia bellamente beffe di quella «cosa sporca – come diceva Giorgio Gaber in “Qualcuno era comunista” – che ci ostiniamo a chiamare democrazia»?
Altra cosa: ma non abbiamo sempre sentito affermare, dalla Fornero e dai suoi colleghi, che le riforme sociali e del lavoro sono «estremamente equilibrate». E, allora, anche qui due domande. La prima: ma allora era vero che l’occhio di riguardo è stato riservato agli imprenditori che ora lo stanno «sottovalutando»? La seconda: le lamentele dei lavoratori ex dipendenti e ora cassintegrati, esodati o disoccupati non meritano neppure di essere prese in considerazione? Non hanno alcun peso?
Non è la prima volta che si dice che il governo Monti, efficiente sul piano dei desiderata europei e anche nel cercare salvezza dell’Italia ben prima che quella degli italiani (la prima non porta necessariamente alla seconda), non sembra il massimo dal punto di vista dei valori democratici, ma ora sembra davvero sempre più pericolante l’edificio statale italiano che regge dal 1946, anche e soprattutto perché è la politica che davvero dimostra di essere incapace di capire alcunché. L’edificio va in fiamme e loro continuano a spartirsi l’Agicom come se nulla fosse mai successo, o a trovare modi per nascondere la valanga di scandali che entra quotidianamente nelle stanze della politica, o a combinare per salvare De Gregorio dagli arresti.
Ho già detto che sono lontano dalle posizioni populistiche di Grillo, ma francamente, se cerchiamo esempi di antipolitica, è più facile trovarli nei partiti cosiddetti tradizionali che in Cinque stelle.

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