venerdì 13 aprile 2012

Obbedienza e democrazia

C'è poco da fare: la politica continua a essere una vera maestra nel campo dell'etica sociale. A dire il vero una volta tentava di indicare quali erano i comportamenti socialmente utili, mentre ora è efficacissima nell'insegnare quali sono quelli più deprecabili. Alcuni, però, direbbero che si tratta di un dettaglio.
Prendiamo il caso di Rosy Mauro che in un Paese normale sarebbe già stata espulsa quando dallo scranno presidenziale del Senato (lei è ne ancora vicepresidente e, pur cacciata addirittura dalla Lega, non intende proprio andarsene) ha inscenato un'indegna gazzarra, non soltanto procedurale, pur di cancellare a ritmi da Ridolini decine e decine di emendamenti che andavano contro il volere di Bossi.
Bene: oggi sbaglierebbe chi pensasse che è stata punita perché accusata di essersi resa colpevole di aver usato a fini personali del denaro - tanto denaro - che al partito era arrivato dal cosiddetto finanziamento pubblico: è stata mandata via perché si è macchiata dell'incancellabile colpa di non aver obbedito a Bossi, al capo, quando le aveva chiesto di dimettersi dalla vicepresidenza. Il Trota ha ubbidito ed è ancora lì, pronto a riprendersi posti e prebende che dinasticamente gli spettano.
Non si tratta, insomma, di una decisione etica, ma di una mancanza di obbedienza al volere del capo. Nell'Italia di oggi ci può stare di tutto, ma spero che almeno nessuno osi più dire che la Lega stia insegnando agli altri cosa sono due parole come "onestà" e "democrazia": la prima è offuscata dal numero di possibili coinvolti leghisti di altissimo grado che sta uscendo dalle inchieste delle varie procure, la seconda è cancellata dal fatto che se non si ripete esattamente quello che dice il capo si è fuori dal partito. Mentre la democrazia è proprio l'incarnazione del libero pensiero e l'obbedienza, come diceva impeccabilmente don Lorenzo Milani in tempi non sospetti, «non è più una virtù». E come impeccabilmente è stato ripreso da Vito Mancuso nel suo bellissimo "Obbedienza e libertà".
In un Paese normale queste constatazioni potrebbero già significare la fine di un partito, ma in Italia quello che da altre parti potrebbe essere paragonato a una specie di "cupio dissolvi", si rivela sempre per tutti un'inezia di poco conto. Come in altra maniera si potrebbe infatti giustificare il fatto che anche il PD è unito ai centristi e al PDL nel non accettare tagli al cosiddetto "finanziamento pubblico"?
La realtà è che anche loro dei risultati elettorali vedono soltanto le percentuali e non le cifre assolute e più vere; hanno perduto milioni di voti e altri ancora ne perderanno perché l'astensionismo si avvicina ormai al 50 per 100 per lo schifo che viene purtroppo destato dalla parola "politica" che, invece, dovrebbe essere una delle più belle del nostro vocabolario. Al pari di "democrazia" e al contrario di "obbedienza".

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