domenica 5 giugno 2011

Il voto come imperativo etico

Ma vi rendete conto? Berlusconi ha detto con grande serietà che dopo i referendum «il governo terrà conto della volontà del volere del popolo».
Ma è una notizia, o un’ovvietà? È qualcosa da mettere in evidenza, oppure da non citare neppure, tanto dovrebbe essere naturale? Ma questo Berlusconi è quello stesso che ogni giorno, per sottrarsi al giudizio dei tribunali, ripete che è il popolo che lo ha eletto e che quindi nessuno è al di sopra di lui?
Però ancora più impressionante di questa ennesima prova di sensibilità democratica forzata – quando si riesce a forzarla e sempre che poi alle parole seguano i fatti – è la constatazione che nessuno abbia sentito il valore urticante di questa frase sulla propria pelle. Che nessuno abbia sentito la necessità di alzare la voce per dire che il rispetto della Costituzione è un valore imprescindibile per tutti e non soltanto una graziosa concessione del capo.
Che nessuno si sia chiesto cosa potrebbe succedere se il capo dovesse decidere che «il governo non terrà conto della volontà del popolo».
E quest’ultima non è un’ipotesi che esce dalla mia incontestabile allergia a quel personaggio, ma una considerazione quasi ovvia, visto che quel medesimo governo che si impegna a rispettare la volontà del popolo è quello stesso governo che si è rivolto di corsa alla Corte Costituzionale con la speranza di far bloccare il referendum sul nucleare voluto proprio da quel popolo che si rispetta soltanto quando fa comodo.
E l’unico scopo, in realtà, è quello di allontanare un po’ di gente dai seggi nella speranza – l’unica importante per Berlusconi – che il quorum non si raggiunga e che il suo “legittimo impedimento” possa continuare a funzionare.
Andare a votare è sempre un dovere, ma questa volta è davvero un imperativo etico.

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