lunedì 15 marzo 2010

Le leggi e l’etica

A riguardare le immagini della manifestazione di piazza del Popolo, viene sollievo e rabbia. Sollievo perché davvero sembra che finalmente tutti riescano a capire contemporaneamente che prima di raggiungere l’ottimo bisogna eliminare il pessimo. Rabbia perché questa sensazione l’abbiamo provata già in altri momenti e temiamo che anche questa volta, puntualmente, l’unione delle opposizioni all’attuale regime vada in frantumi non appena le varie parti si renderanno conto che ognuno deve rinunciare a una piccola fetta della propria visibilità se vuole sperare che davvero questo periodo nero per il nostro Paese si stia avviando alla fine.
Quello che impressiona – o almeno che mi impressiona - è che ogni volta, per ricreare il miracolo dell’unità tra le mille parti del centrosinistra e della sinistra, lo stimolo – o, per capirci meglio, il sopruso berlusconiano del momento – deve essere più forte. Una volta bastava l’infrangere una regola per destare indignazione e risposta civile. Oggi deve essere messo in pericolo non una regola, ma il concetto stesso di regole per farci scattare.
E questo vale dappertutto. Tanto che i dipendenti di Berlusconi, davanti a ogni malefatta scoperta grazie alle intercettazioni, si affrettano – dopo aver precisato che la cosa più criminale sono le intercettazioni stesse – a dire che non ci sono reati perseguibili.
D’accordo: forse nessun articolo del codice stabilisce che un presidente del consiglio non possa dettare l’editoriale al direttore di un telegiornale pubblico e forse neppure è vietato imporre la cacciata dei giornalisti scomodi sempre dalla tv di Stato. Ma ci siamo davvero dimenticati che etica e legge non sempre coincidono? Eppure dovremmo sapere bene che ci sono cose eticamente riprovevoli che non porteranno mai a una condanna, ma che non dovrebbero portare neppure a Palazzo Chigi.

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