mercoledì 29 aprile 2009

La palude del consenso

L’intervento di Alexandre (a proposito, sarebbe bello che tutti si presentassero con nome e cognome) non può rimanere senza risposta in quanto, se mi fa piacere perché sottolinea che il nostro sito è seguito anche in Francia, mi spaventa per alcune cose che vi sono espresse.
Mi fermo soltanto per un istante sul paragone tra Alemanno che viene festeggiato con il saluto fascista da coloro che fino a poco prima hanno frequentato i medesimi circoli politici e un personaggio che casualmente si trova nel medesimo stadio in cui alcuni fascisti danno vita alle loro gazzarre. Un istante, per dire che è del tutto risibile.
E non mi dilungo neppure sulle presupponenti affermazioni che accusano Delanoe di opportunismo politico a seconda della platea davanti alla quale si trova; che sostengono che gli antifascisti e antinazisti sono diventati tali soltanto a vittoria conseguita, mentre i veri resistenti poi sono rimasti in silenzio; che rivelano «la Nazione francese ha saputo riunire le due parti» (non mi risulta, ma ove anche in Francia fosse successo, in Italia non è certamente avvenuto).
Molto più degne di attenzione sono le ultime frasi.
«La scelta di uno, oggi, sarà forse sbagliata domani e vice-versa» è un’espressione fa davvero rabbrividire perché sembra nascondere l’idea che non ci siano differenze etiche tra le varie posizioni. Forse Alexandre non si riferisce ai valori, ma ai risultati nelle elezioni, dimenticando che non sempre chi vince nelle urne è anche chi è nel giusto. Hitler, per esempio, andò al potere grazie a una consultazione elettorale, non con una marcia su Berlino, come aveva fatto, su Roma, Mussolini, il suo esempio da imitare. E poi nelle democrazie chi perde ha il diritto di continuare a lottare perché siano i suoi valori a prevalere, mentre le dittature stanno molto attente a che questo non succeda bloccando la circolazione del pensiero con la corruzione, l’intimidazione, o la forza.
E Alexandre conclude: «È ora di ritrovarvi tutti come nell’inno di Mameli: fratelli d’Italia». Personalmente sento molto il concetto di fratellanza, ma nei confronti di tutti gli esseri umani e non soltanto degli italiani. E, comunque, essere fratelli significa amare il prossimo e preoccuparsene; non vuol dire avere un’idea unica, né rinunciare alla propria se gli altri sono di più.
Anzi, il problema – dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di dirlo – è proprio il fatto che per anni abbiamo buttato via, almeno per una certa parte, i nostri valori: lo hanno fatto i comunisti, i socialisti, i cattolici, i liberali; lo hanno fatto persino i fascisti; perché anche loro avevano dei valori, anche se per me non sono condivisibili. Li abbiamo buttati via illudendoci che senza valori ci saremmo potuti avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione in un posto paludoso, indistinto e ritenuto vincente che molti, per comodità, chiamano “centro”, ma che non è più il rispettabilissimo centro politico di una volta. E abbiamo tentato di avvicinarci facendo ressa, cercando di attrarre simpatie, imitando gli altri quando questi stavano vincendo, truccandoci e travisando il nostro volto, perché era più importante catturare simpatie e voti che compiere azioni degne. Ma in definitiva non siamo riusciti ad attrarre nessuno perché il vuoto, dopo un primo senso di disorientante vertigine, non attrae mai nessuno, ma, anzi, dà un senso di repulsione.
E il risultato è che c’è stata sempre meno gente che si è avvicinata alla politica e alla partecipazione al vivere sociale. E contemporaneamente non ci siamo sentiti più vicini agli avversari di una volta perché siamo rimasti completamente estranei. E abbiamo perduto molti amici perché senza valori di riferimento non li riconoscevamo più, né loro riconoscevano noi. E insieme abbiamo perso anche il rispetto di noi stessi.
E soltanto quando abbiamo percepito questo vuoto, quando abbiamo sentito il rodere del rimorso provocato dal nostro peccato di omissione, abbiamo cominciato a riprendere quota, a tornare a pieno titolo umani, a ritenere nuovamente che la nostra vita privata e pubblica non possano esistere senza etica, che la politica non possa esistere senza etica, che il lavoro non possa esistere senza  etica, che l’economia non possa esistere senza  etica, che la finanza, così com’è, non possa esistere e basta.
La democrazia deve essere fatta di etica e dibattito, non di spettacolo e consenso. Non voglio tranciare giudizi su cos'è accaduto in Francia, ma in Italia a lungo non è stato certamente così.

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